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Contro le passioni, si sa, c’è poco da fare. Ognuno difende la propria e nessun nutrizionista potrà mai convincerlo che non è salutare e che andrebbe modificata. Per questo motivo i risultati del sondaggio realizzato da Format per Salute sulle preferenze degli italiani a tavola disegnano non tanto il modello alimentare di singoli e famiglie ma il gusto, il piacere verso un cibo o un piatto. Cominciando dalla pasta, alimento che è più di un alimento, perché per il nostro paese è tradizione, simbolo, protagonista di indimenticabili scene cinematografiche scolpite nella memoria collettiva, da quella di Totò in “Miseria e Nobiltà” – nella foto – a quella di Albertone in “Un americano a Roma”.
La pasta, dunque: trionfa quella lunga, con il 72,1 per cento: l’amore per gli spaghetti è inossidabile e resiste ai tempi. Gli innumerevoli e diversissimi formati di pasta corta vengono dopo più di sette punti, al 64,7. E questo, nonostante penne e farfalle siano più adatte ai bambini, più facilmente utilizzabili per un pranzo veloce o in piedi, in una parola più “comode”.
“C’è la persistenza, o il recupero, della tradizione”, spiega il professor Giovanni Ballarini, storico dell’alimentazione e presidente dell’Accademia Italiana della Cucina, “soprattutto per quanto riguarda la pasta lunga. I “maccheroni” che gli scugnizzi napoletani mangiavano con le mani ed erano rappresentati nelle stampe ottocentesche, in realtà erano a forma di spaghi o vermi: spaghetti e vermicelli. Anche le tagliatelle padane e le paste alla chitarra abruzzesi erano paste lunghe. Le paste lunghe sono di cottura e preparazione rapida e da mangiare asciutte, escludendo il brodo che è in calo anche a causa della sua lunga preparazione”.
Da un punto di vista nutrizionale, poi, lo spaghetto, per la sua forma particolare, precisa Andrea Ghiselli, ricercatore all’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, “ha un indice glicemico migliore, ovvero, a parità di peso, stimola un po’ meno l’insulina rispetto alla pasta corta”.
E dopo il primo…
Tra i secondi di carne, le preferenze più numerose vanno alla carne di vitello, con il 66,3 per cento. Al secondo posto sempre carni rosse, dunque vitellone o manzo, con il 57,1 per cento di preferenze. “Probabilmente è stato recepito il messaggio che è meglio consumare carne più magra, il vitello ha circa 2,7 grammi di grasso per etto, mentre un filetto di bovino adulto ne ha quasi il doppio, circa 5”. Sul piano del gusto, però, qualche differenza c’è… “Sì, è vero”, replica Ghiselli, “ed è per questo che bisognerebbe tener conto anche dell’appagamento sensoriale, che è molto importante per la sazietà. Un alimento più gustoso sazia prima”. Con buona pace di qualche grammo di grasso in più.
Discorso un po’ diverso per altri alimenti. Tra gli insaccati, per esempio, non c’è gara tra il primo in classifica, il prosciutto crudo, che riscuote il 75,4 per cento delle preferenze, e salame (56,3), prosciutto cotto (52,3) e mortadella (47,1). “Il persistere della tendenza al cibo “fresco””, precisa Ballarini, “identificato nella “carne giovane” di vitello, nel pesce fresco e nel prosciutto crudo dà sicurezza psicologica perché non ci sono trattamenti compiuti da altri e permette una serie di preparazioni personali, prevalentemente, se non esclusivamente, “rapide””. Nel gruppo latte e formaggi al primo posto la mozzarella, con preferenze che svettano al 64 per cento, tallonata dai formaggi al 63,6.
Vegetali e frutta
Indipendentemente dalle tanto raccomandate cinque porzioni al giorno le preferenze degli italiani vanno in primis alle patate, seguite a ruota da pomodori e insalate. Nel caso della frutta, invece, sono più o meno a pari merito pesche, ciliegie, mandarini e fragole che, però, hanno una stagionalità molto limitata. “Le patate, se non si consumano sempre fritte, vanno benissimo”, continua Ghiselli, “e possono essere utilizzate anche come ingrediente per altre ricette, come gnocchi o torte salate. Se poi veramente gli italiani mangiassero anche le insalate che dichiarano di preferire sarebbe una meraviglia…In ogni caso, sarebbe positivo aumentare la quota dei legumi, che hanno tutte le carte in regola per poter essere mangiati come primo, con la pasta o il riso, come contorno o, meglio ancora, come secondo al posto della carne, ancora troppo presente nella nostra dieta”. me condimenti le preferenza vanno in modo plebiscitario all’olio extravergine (84,5 %) anche se, avverte Ghiselli, non si dovrebbe criminalizzare il burro: un velo al mattino sul pane o le fette biscottate può essere consumato tranquillamente
E veniamo al capitolo dolci, dove svetta il gelato fresco. “Molto positivo”, conclude il nutrizionista, “perché, tra i dolci, è quello che, a parità di calorie, è più denso di nutrienti e più povero di grassi. In ultimo bevande e affini: in testa il caffé, rito irrinunciabile, ma senza superare “le 4-5 tazzine al giorno”.
Non dimentichiamo il gusto
In ultimo una riflessione sul gusto la fa Marcello Leoni, chef emergente del “Sole” di Trebbo di Reno, una manciata di chilometri da Bologna. “Ho fatto un piccolo esperimento proponendo a trenta persone, diverse per età, professione, sesso, tre tipi di branzino cucinato al vapore, senza sale, olio o altro, in modo che si potesse esaltarne il sapore. Uno era selvaggio, uno allevato nelle migliori condizioni, in mare e con mangimi selezionati, l’ultimo allevato nelle peggiori condizioni. Il 99 per cento del mio campione, assolutamente trasversale, ha identificato nell’ultimo campione, il peggiore, quello selvaggio, di grande qualità. Che vuol dire?Che il gusto è ormai abituato a considerare un prodotto scadente come la massima qualità”.
E questo con buona pace del fondatore della moderna gastronomia, Jean-Anthelme Brillat-Savarin, che riconosceva all’apparato del gusto nell’uomo una rara perfezione che ci concede la possibilità, tra tutti gli organi di senso, di regalarci il maggior numero di godimenti. Mangiando – scriveva – possiamo consolarci della mancanza di altri piaceri, compensare le nostre perdite e prolungare la nostra vita. Un gusto – o meglio un buongusto – che è contagioso e trasmissibile. Purché, viene da aggiungere, si scelgano prodotti di qualità e si spenda un po’ del proprio tempo per prepararli a dovere. Forse per questa ricerca di buono e genuino si moltiplicano le iniziative di filiera corta, di mercati dei contadini, di acquisto in gruppo di prodotti biologici, di Gruppi di acquisto di condominio o nei luoghi di lavoro. Trovare materie prime fresche, gustose e di qualità non è poi così facile, men che meno per chi vive nei grandi centri urbani.
“È difficile”, conclude lo chef Leoni, “ma non impossibile. Si può cominciare a frequentare piccole aziende, a stringere rapporti con i produttori e – soprattutto – a dedicare agli alimenti qualche spicciolo in più. La rincorsa al prezzo più basso spesso non va d’accordo con la qualità. Perché siamo disposti a spendere centinaia di euro per un cellulare ma non 12 per un litro di ottimo olio extravergine?Bisogna imparare a riconoscere le qualità di un prodotto e affidarsi agli artigiani che lavorano con passione piccole produzioni di eccellenza. Riconoscendo loro un giusto prezzo. E pazienza se a tutti noi costano un pochino di più”.
di Elvira Naselli
fonte La Repubblica
http://www.repubblica.it/supplementi/salute/2009/01/15/ilnostropiattolaricerca/019men60619.html