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Così l’agricoltura chiude. E’ un grido di allarme, ma anche un monito per l’intero Paese, quello lanciato oggi dal mondo agricolo italiano, sceso in piazza a Roma, davanti a Montecitorio, per chiedere al Governo di rivedere la tassazione sul lavoro nei campi, in particolare l’Imu sui fabbricati rurali e sui terreni agricoli, un salasso da 1,5 miliardi di euro. A rischio chiusura, secondo le organizzazioni promotrici della mobilitazione – Cia, Confagricoltura, Copagri – ben 200 mila aziende. L’agricoltura vuole fare la sua parte per rimettere in ordine i conti del Paese e far ripartire l’economia. Non si tratta, assicurano le organizzazioni, di una mobilitazione contro il Governo. E’ in gioco la sopravvivenza. Il principale nodo della contesa si chiama Imu, la nuova imposta sui fabbricati rurali e sui terreni agricoli, cioè sugli strumenti di lavoro, che dovrebbe determinare un incremento della tassazione di 5 volte rispetto allo scorso anno, un “salasso” da 1,5 miliardi di euro, contro gli attuali 300 milioni di gettito fiscale. A questa cifra, aggiungono le organizzazioni, si potrebbero inoltre sommare altri 2-3 miliardi di euro per l’accatastamento. Non basta: sul tavolo c’è anche la questione del “caro-gasolio”, il cui costo in agricoltura è schizzato in pochi mesi del 25% (circa 50% in un anno), ma anche l’aumento degli oneri contributivi, previdenziali e burocratici. Macigni che pesano in un comparto già in affanno, che sconta ancora i danni subiti negli ultimi mesi dal blocco dei tir e dal maltempo (circa 500 milioni), oltre che dalla flessione dei consumi. Da qui la richiesta di ripensare l’imposta, verificandone le ricadute sul settore.