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Anche l’Oms ha acclarato la benefica relazione tra un consumo moderato di vino e la protezione da alcune gravi patologie
L’attenzione dei ricercatori si sta via via spostando dal resveratrolo, considerato fino a poco tempo fa molecola chiave degli effetti salutistici del vino ad altri componenti.
E’ così, anche attraverso le indicazioni fornite da Alberto Bertelli del Dipartimento di morfologia umana dell’Università di Milano che scopriamo alcune analogie tra vino e olio.
Anche nel vino sono per esempio contenuti tirosolo e idrossitirosolo, anche se in quantità decisamente più modeste rispetto a quelle dell’extra vergine.
Scopriamo inoltre che, come per l’olio d’oliva, anche la qualità del vino incide sulla sua salubrità e che quindi vi è una relazione, ancor poco studiata, tra le condizioni socio economiche e il potenziale nutraceutico assunto con i cibi.
Oltre al resveratrolo c’è di più.
Perché allora il mondo scientifico si è così accanito su questa molecola? Probabilmente anche perché ha rappresentato un bel rebus. Infatti le quantità assumibili anche attraverso un costante uso di vino erano modeste, così pure le concentrazioni rilevate nel sangue. Eppure delle prove in vivo, effettuate sui topi, hanno mostrato un effetto bioattivo.
Se ne deduce che:
– i composti fenolici trovati nel vino sono biodisponibili solo con un costante consumo
– anche dosaggi molto bassi esercitano un’attività biologica
– i composti fenolici interagiscono presenti nel vino tra loro e con quelli assunti con altri alimenti
– un’assunzione di basse dosi di composti fenolici provoca un effetto accumulo nei tessuti corporei che può modulare la biodisponibilità
Quest’ultima affermazione deve ancora essere pienamente dimostrata ma tale tesi sembra essere supportata da recenti studi.
Nel vino non c’è dunque solo resveratrolo ma un più complesso sistema fenolico.
Gli approfondimenti compiuti paiono inoltre smentire un vecchio adagio secondo cui il vino rosso era più salutare di quello bianco.
Ricerche epidemiologiche condotte in Nord Carolina (Usa) suggeriscono che non vi sono differenze tra i due nella riduzione del rischio d’infarto e della modulazione tra LDL e HDL (colesterolo buono e colesterolo cattivo).
Nel vino bianco sono stati trovati numerosi composti attivi tra cui ricordiamo l’acido caffeico, il tirosolo, l’idrossitirosolo e l’acido di Shikimic.
In particolare l’acido caffeico è presente in concentrazioni doppie nel vino bianco rispetto al rosso ed è un composto importante in quanto è provato sia un potente inibitore dell’ossidazione della LDL e di una citochina pro-infiammatrice.
Degli effetti dell’acido caffeico, di tirosolo e idrossitirosolo nel vino si sa molto poco e poche solo le ricerche, al contrario di quanto accaduto nel settore oliandolo.
Ancor meno si sa dell’acido di Shikimic, un composto non appartenente alla classe dei fenoli ma il cui scheletro è utilizzato per la sintesi di antivirali, come l’oseltamivir (Tamiflu).
Nonostante la bibliografica vitivinicola legata al settore salutistico sia molto abbondante rimangono ancora più domande che non riposte.
La stessa Organizzazione mondiale della Sanità ricorda che il 20-30% di alcune patologie (cancro all’esofago, cirrosi, epilessia) e di alcuni comportamenti socialmente allarmanti (omicidio, guida pericolosa) è dovuto all’alcol.
In un suo stesso documento, tuttavia, l’Organizzazione mondiale della sanità riconosce che un consumo moderato di vino protegge dal rischio di infarto e dal diabete mellito, concludendo che si raccomandano ulteriori studi in merito agli effetti di differenti comportamenti (consumo smodato e consumo moderato), alla determinazione dei meccanismi d’azione nella riduzione del rischio d’infarto e sui possibili effetti di composti, oltre all’alcol, nelle bevande alcoliche.
Alberto Bertelli, Wine, research and cardiovascular disease: istruction for use, Artheriosclerosis 195 (2007), Pag 242-247