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Crema d’uva, budino d’uva, pappa d’uva, industriali arditi e artigiani fantasiosi lo hanno etichettarlo in modi diversi ma sùgolo resta: mosto d’uva e farina di grano sposati sul fuoco. Il sùgolo dice la tradizione è solo quello fatto con la crepàda, cioè gli acini non vanno pigiati ma fatti scoppiare (crepare) in pentola, uno per uno. Un prodotto che non sopporta le integrazioni dello zucchero, i sentori di vaniglia e le eversioni del cacao. È uva fatta pappa. Il sùgolo non è un mangiare consueto. Come i tortelli di zucca – che all’origine erano soggetti rituali della notte della vigilia – la pappa d’uva dovrebbe accompagnare il solo periodo della vendemmia: settembre-ottobre.
Questa specialità andrebbe fatta solo e soltanto con uve da vino, essenzialmente Lambrusco. Ma, si sa, oggi ci sono mille maniere per conservare il mosto che a sua volta è reperibilissimo nelle cantine nostrane nel periodo fatale. Il sùgolo ‘verace’ secondo gli anziani non è quello fatto non con il mosto da vino già pronto, ma quello con la crepàda o carpàda (dipende dalla zona geografica del dialetto). Dunque in italiano l’uva crepata, la spaccatura degli acini attraverso la loro ebollizione. La ricetta originaria infatti prevede la sgranatura dei grappoli e la lessatura degli acini: perciò niente pigiatura soffice o decisa dell’uva perché stavolta non serve per il vino.
Un tempo il succo prodotto con la crepàda veniva unito alla farina bianca e messo a cuocere in un paiolo di rame insieme a una enorme chiave di ferro in grado di neutralizzare i rischi tossici dell’ossidazione dell’interno della pentola. La matrice del vino unita alla farina di grano, con il suo rosso cupo ancora bollente andava a riempire scodelle, zuppiere piatti fondi e sbàsi e lasciato dormire fino alla produzione della “pelle”. Gli intenditori – quelli che si sono fatti l’esperienza con la nostalgia – dichiarano che il sùgolo migliore è quello che dopo un qualche giorno lascia trapelare in superficie i cristalli di zucchero o, addirittura, viene aggredito dalle muffe. Una volta, quando il frigorifero non c’era, il sùgolo nel giro di un paio di giorni emetteva già la barbina bianca che il mangiatore di turno non faceva altro che trasferire a fondo piatto. Sempre nel passato il mosto veniva conservato in bottiglie rese ermetiche e sterilizzate in bagnomaria o con il ricorso al canonico acido salicilico da comprare in farmacia, . Il sùgolo oggi si può trovare anche già confezionato, è ottimo nell’accompagnamento della torta Sbrisolona.
Tipo d’uva: Per la migliore riuscita del piatto occorrerebbe dell’uva fragola detta anche in alcune zona uva americana perchè dolciastra , ma si possono ottenere risultati equivalenti anche con altri tipi di uve purchè molto dolci e non trattate .
Procedimento:
Staccare i chicchi dal raspo, sistemarli in una pentola e portare a cottura, a fiamma normale, sino a che non si rompono. Questa operazione consente di estrarre le sostanze tanniche che si trovano nella buccia e che daranno il gusto e la colorazione tipica al piatto.
Spremere bene gli acini con le mani, aiutandosi magari con un colapasta o un setaccio, stando bene attenti che nessun seme entri nel liquido.
Unire poi, stemperando bene con una frusta, 1 etto di farina bianca doppio zero per litro di mosto. Niente zucchero perchè è già sufficiente quello dell’uva stessa se vendemmiata verso la fine di ottobre. Per essere assolutamente certi che non ci siano grumi, sarebbe bene passarla al setaccio.
Porre sul fuoco menando continuamente. Dopo esattamente cinque minuti dalla ebollizione, spegnere e versare in zuppierette secondo il numero dei componenti della famiglia in modo che poi, al momento del consumo, non residui nulla.
Va consumato assolutamente freddo. Si può conservare in frigorifero anche per un mese. In questo caso, prima di servirlo, basta togliere la muffa che si sarà certamente formata in superficie chè non è segno di deterioramento della sugolo, ma indice di genuinità. Parimenti non ci si deve preoccupare di eventuali granelli che si dovessero avvertire alla manducazione in quanto dovuti alla naturale agglomerazione degli zuccheri.