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Immaginando di voler rappresentare la filiera agroalimentare del territorio lombardo secondo un ipotetico modello pressione-stato-risposta, che metta in relazione le pressioni esercitate dall’attività antropica con i relativi impatti su ambiente e società e con le possibili soluzioni oggi presenti per limitare tali criticità, è possibile individuare alcuni aspetti significativi, correlabili a dinamiche che spaziano dal tipo di offerta di beni alimentari che i mercati garantiscono, passando dalla domanda che essi generano nel consumatore, fino alla tipologia e provenienza del cibo che viene portato a tavola ogni giorno.
Il punto di partenza è la pressione esercitata da stili di vita ed abitudini alimentari che contrappongono, spesso senza troppa consapevolezza, al “cibo locale” e “di stagione” il “cibo globale” e “fuori stagione”.
Elementi di questa tendenza si rintracciano analizzando, ad esempio, quanti degli alimenti presenti nel menù quotidiano di una famiglia appartengano al territorio regionale e quanti provengano addirittura da zone del mondo opposte alla propria nazione, quanti compaiano sul mercato secondo la loro stagionalità e quanti siano reperibili per tutti e dodici i mesi dell’anno.
Nota distintiva che caratterizza alcune abitudini al consumo alimentare è data dall’influenza dei mezzi di comunicazione sul consumatore e dall’offerta della grande distribuzione, priva di riferimenti spazio-temporali alle stagioni e alla dislocazione geografica dei luoghi di provenienza dei prodotti.
Alcuni comportamenti, che rivelano la perdita di legami con i ritmi della propria terra e l’abitudine a consumare senza riflettere sulle reali necessità alimentari, determinano quindi l’insorgenza di criticità a livello ambientale, economico e socio-culturale: un chilo di pesche prodotte in Cile e trasportate in Italia attraverso un viaggio di 13 mila Km richiedono il consumo di 5,8 Kg di petrolio corrispondenti a 17,4 Kg di anidride carbonica emessi in atmosfera; la trasformazione dal frumento al pane vede aumentare il prezzo al consumatore di 12-14 volte spesso senza possibilità di individuare i passaggi intermedi della filiera e i relativi costi; una confezione di caffè, proveniente dai Paesi del Sud del mondo e venduta in Italia, consente al produttore di ricevere solo il 5% del ricavato, indipendentemente dal fatto che il valore della merce scenda fino a non coprire nemmeno le spese che il produttore stesso deve comunque sostenere.
Alcuni esempi bastano ad evidenziare come maggiore trasparenza ed informazione in merito ai meccanismi del mercato alimentare gettino le basi per consentire a tutti gli attori della filiera di rendere conto delle proprie scelte su più fronti, dalla tutela delle risorse naturali alla difesa dei diritti umani, passando attraverso migliori forme di garanzia verso i consumatori.
Consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni in rapporto all’ambiente significa sapere che ogni alimento ha una “storia”, fatta di interazioni con gli ecosistemi e con i diversi comparti ambientali, fatta di energia e di materie prime consumate per produrre, elaborare, imballare, trasportare e distribuire quell’alimento, e ancora per consumarlo, dando origine a materie secondarie e rifiuti.
Conoscere le dinamiche economiche che regolano la filiera agroalimentare significa sviluppare la capacità di indagare sul valore delle merci: se da un lato prezzi finali elevati celano intermediari che approfittano dei numerosi passaggi di filiera per incrementare i margini di guadagno, dall’altro il cibo a basso costo può coincidere con modelli produttivi di massa gestiti a scala transnazionale e basati su elevate quantità di produzione indipendentemente dalla domanda di mercato.
Coscienza sociale e culturale significa analizzare con spirito critico le realtà coinvolte nei processi alimentari: bassi costi legati a prodotti coltivati, ad esempio, nel sud del mondo può essere sinonimo di basse prestazioni non solo ambientali ma anche sociali e quindi di sfruttamento della forza-lavoro ed impoverimento delle comunità locali.
Allo stesso modo, la consapevolezza di una cultura del cibo stimola a riflettere sul suo significato e a distinguere tra il cibo-oggetto tipico della società moderna e il cibo-evento che in passato scandiva tempi e spazi di una giornata.
Il cibo permea la vita dell’uomo ed inevitabilmente è correlato a temi ambientali connessi all’attività antropica e alla sua influenza sulla biodiversità e sui sistemi naturali, ad aspetti di etica, evidenti nel contrasto tra i consumi del Nord e i prodotti del Sud, e a modelli comportamentali legati a tradizioni e a culture in evoluzione.
La visione d’insieme che si ottiene al termine di questo percorso permette in primo luogo di comprendere che esiste un equilibrio piuttosto instabile tra “cibo locale” e “cibo globale”, il cui valore – positivo o negativo che sia – varia al variare degli interessi in gioco, e conduce, in secondo luogo, a prendere in considerazione alcune delle soluzioni messe in atto oggi in risposta alle criticità individuate.
Dal punto di vista del consumatore, si spazia da un acquisto critico e responsabile (prodotti identificati da certificazioni ed etichette di tutela ambientale e sociale) fino al più estremo boicottaggio di prodotti ritenuti insostenibili per motivi etici, ambientali o sociali.
Dal canto loro, le imprese appartenenti alla filiera agroalimentare hanno la possibilità di superare la normativa ed adottare strumenti volontari che consentano di tenere sotto controllo gli impatti ambientali e sociali legati alle proprie attività, scegliendo di aderire a standard di certificazione e di marchi (ISO 14000, OSHAS 18000, SA 8000, “Freedom Food”, “Organic”, “Fairtrade”), o di operare all’interno della filiera del Commercio equo e solidale (“Cees”), fino a decidere di rileggere la propria missione secondo le regole della responsabilità sociale d’impresa (CSR).
fonte www.eat-ing.net/