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“Pastorizzato, sterilizzato. Di mucca, ma anche d’asina e di capra. Nel latte non c’è nulla di scontato a partire dalle sue proprietà e dal luogo di produzione.
“Mi hanno detto che il latte fresco fa male”. Monica, una signora di cinquant’anni, esordisce così nei confronti di un droghiere nella provincia milanese. E per fortuna che il lattaio, di fronte alla malsana informazione, si è preso la briga di spiegare alla sua cliente che la voce era una bufala in piena regola. Purtroppo, la realtà è che nessuno, a parte qualche addetto ai lavori, conosce la verità su latte. La schiera infinita di nutrizionisti, allevatori, politici, ministri, sottosegretari, dirigenti delle grandi aziende produttrici di latte, omeopati e, perché no, un paio di santoni, ha dato via a una vera e propria sparatoria. Pronti a raccontare la nuova verità assoluta, accertandosi che ognuno dicesse il contrario dell’altro. Eppure l’affair è cosa delicata e avere un consumatore disorientato e incapace di scegliere a qualcuno può anche interessare. A noi no. Per questo cerchiamo di fare chiarezza.
Fresco e crudo
Il latte fresco non è necessariamente crudo. Ad esempio quello comprato al supermercato è latte pastorizzato, ottenuto dal processo di riscaldamento usato per sterilizzare il latte, quindi non è crudo, bensì fresco. Il latte crudo è quello intonso, insomma, come mucca l’ha fatto. Da un po’ di tempo a questa parte si può acquistare il latte crudo, grazie a un’idea dell’attuale ministro per le politiche agricole e forestali Luca Zaia, presso dei distributori che vengono quotidianamente riempiti dagli allevatori nelle strette vicinanze. Quello è latte crudo! Identico, per intenderci, a quello che be-vevano i nostri nonni quando veniva acquistato direttamente dal contadino. Questo prodotto è stato attaccato da molti perché ritenuto poco sicuro. Certo, non è asettico come quello pastorizzato, ma ha cresciuto decine di generazioni e ha in sé numerosi vantaggi: sappiamo dove viene prodotto, è più genuino, ha un sapore inconfondibile. Insomma, è vero latte. Poi, certo, bisogna avere l’accortezza di usare le vecchie buone usanze e quindi bollirlo e avere qualche attenzione in più. Su questo il sito www.milkmaps.com aiuta molto, non solo offrendo una mappatura di tutti i distributori di latte cru-do, ma dando anche qualche consiglio al consumatore. In primis l’utilizzo della bottiglia in vetro che permette di salvaguardare l’ambiente e soprattutto mantiene integro il sapore del latte, importante, però, lavarla il lavastoviglie o pulirla bollendola per qualche minuto. Altra cosa fondamentale è la temperatura: il latte nel distributore è refrigerato, quindi, è consigliabile portare con sé una borsa termica e, se possibile, passare al distributore come ultima tappa prima di raggiungere casa.
Etichetta rivelatrice
Circa la metà del latte presente sulle tavole italiane proviene da un Paese straniero. Per parlare di Made in Italy si può partire da questo dato: in Italia vengono prodotte 10 milioni e 500 mila tonnellate di latte l’anno e vengono importate 8 milioni di tonnellate. Questo stato dell’arte per il comparto è ovviamente una questione complicata. La prima vittoria ottenuta in questo campo è stata quella sulle quote latte. Infatti il ministro delle politiche agricole Luca Zaia è riuscito, creando non poco clamore, a strappare un più cinque per cento sulle quote di produzione date all’Italia. Ma la campagna del ministero per rimettere mano al mondo del latte non si è limitata a questo. Ultima in ordine cronologico la presentazione di un decreto ministeriale per obbligare i produttori di latte ad etichettare il prodotto così che il consumatore sia sempre a conoscenza della sua provenienza. Un’iniziativa importante se immaginiamo che oggi è praticamente impossibile, a meno che non si acquisti direttamente dal produttore, conoscere la provenienza del latte che beviamo. Il decreto parte da un presupposto importante: il consumatore è sempre più attento alla qualità di ciò che acquista in campo alimentare come dimostra il più undici per cento registrato dall’acquisto di prodotti biologici. In poche parole, la tendenza è quella di una maggiore consapevolezza di ciò che compriamo.
Sullo scaffale
UHT, intero, parzialmente scremato, magro, senza lattosio, con aggiunta di omega tre, fresco e crudo. Scegliere potrebbe apparire un’impresa titanica. Partiamo da un principio: il latte che troviamo al supermercato è standardizzato come quantità di grassi (3.6%), omogeneizzato, pastorizzato o sterilizzato. Può essere pastorizzato (latte fresco) o sterilizzato (latte UHT o a lunga conservazione). Il latte fresco ha attributi organolettici molto superiori, grazie a un trattamento termico meno invasivo, il secondo ha il vantaggio di durare più a lungo, ma assume un sapore diverso che viene definito “cotto”. Il latte fresco, indipendentemente dall’azienda produttrice, ha un sapore standard. Diversa è la questione del latte a lunga conservazione che in alcuni casi ha un sapore pessimo, quindi attenzione a ciò che si sceglie. Non ci sono grosse differenze dal punto di vista nutrizionale, la scelta tra latte fresco e UHT deve essere guidata solo dai gusti personali. Per evitare frodi, come l’annacquamento, o eventuali residui di sostanze nocive somministrate agli animali, è bene scegliere sempre il latte di aziende di fiducia, ancora meglio affidarsi al latte di Alta Qualità. Alta Qualità, infatti, non è uno slogan commerciale sulla bontà del prodotto, ma una vera e propria categoria merceologica. I requisiti necessari affinché il latte fresco pastorizzato sia definito di Alta Qualità sono così rigorosi che poche aziende italiane sono oggi in grado di proporre questo tipo di latte. Dal punto di vista nutrizionale la questione latte è più delicata, che faccia bene bevuto in giusta misura è cosa vera ma è importante non fare confusione. Ad esempio il latte non serve per le vitamine, in particolare la vitamina C che è presente davvero in quantità irrilevanti, rispetto a quanto invece afferma qualche leggenda, e non sostituisce tutti gli alimenti. È ricco invece di calcio e di proteine e quindi se pur liquido lo si considera prevalentemente un alimento. Insomma, un mare di latte. Inquinato spesso più dalle chiacchiere che dalle sostanze nocive, ma l’importante è informarsi così da saper scegliere e soprattutto acquistare sempre latte italiano.
Le battaglie di Zaia. Parla il Ministro delle Politiche agricole
Ministro, quali sono le conseguenze reali per i consumatori date dal decreto sull’etichettatura del latte?
Il decreto è una risposta reale e concreta alle richieste di trasparenza dei cittadini: i consumatori sapranno esattamente da dove proviene il latte che danno ai loro figli e che mettono sulla loro tavola. Credo che i vantaggi siano evidenti: conoscere l’origine di un prodotto permette un maggiore controllo e rassicura il consumatore sulla qualità di quello che mangiamo. Il decreto, infatti, introduce l’obbligo di indicazione del luogo di origine per il latte sterilizzato a lunga conservazione, il latte UHT, il latte pastorizzato microfiltrato e il latte pastorizzato ad elevata temperatura. Non solo, si applicherà anche ai prodotti lattiero caseari, inclusi i formaggi e i latticini.
Quali quelle nei confronti dei produttori?
I costi di produzione in Italia sono molto alti; per questo i nostri allevatori si trovano a dover competere con latte che in altri Paesi viene venduto a prezzi che non esito a definire ridicoli. I nostri costi di produzione sono alti perché sono garanzia di sicurezza alimentare e di tutela. Non sarò certo io a dire ai nostri produttori che devono produrre prendendo delle scorciatoie, e credo che nessuno sia disposto a rinunciare alle garanzie e tutele. Anzi, un recente sondaggio ci dice che il 98% dei consumatori ritiene necessario indicare sempre in etichetta il luogo di origine della componente agricola contenuta negli alimenti. Questo significa che se si legge su un tetrapack il nome di un produttore italiano, si è disposti a spendere un po’ di più perché si è consapevoli di fare un triplo investimento: sulla sicurezza alimentare, sulla qualità e sul territorio. E come risultato, i produttori italiani vedranno il loro prodotto tutelato e i consumatori, ne sono certo, sceglieranno il prodotto locale piuttosto che qualcosa proveniente dall’estero, il cui percorso produttivo è sconosciuto.
Qual è la situazione del settore lattiero caseario in Italia?
In Italia in un anno le aziende agricole che producono latte sono diminuite di 1686 unità. Ad oggi nella penisola se ne contano 39.206, le quali producono 10 milioni e 500 mila tonnellate di latte. Oltre a questa produzione nazionale, in Italia importiamo 8 milioni di tonnellate. In sostanza quasi un cartone di latte su due è di provenienza estera. La situazione, lo sanno bene i nostri allevatori, non è rosea ma sono convinto che gli ultimi provvedimenti adottati permettano di vedere, per così dire, la luce alla fine del tunnel.
Dal suo arrivo al Ministero la questione latte è stata una delle sue gradi battaglie. Cosa prevede per il futuro?
So per certo che il mio impegno nei confronti degli allevatori e dei consumatori italiani non diminuirà in alcun modo. L’etichettatura è un passo importante e intendiamo continuare su questa strada, siamo inoltre impegnati in una battaglia a livello europeo per fare fronte alla crisi dei prezzi. La proposta italiana per il rilancio del settore è triplice: la promozione dei nostri prodotti, anche attraverso l’etichettatura; il piano di abbandono per le aziende che già si trovano in condizioni di marginalità rispetto al mercato. Infine, l’ammasso privato dei formaggi a lunga stagionatura, che incontrano difficoltà di mercato a causa della contrazione della domanda.
Gli italiani hanno grande confusione sul latte: crudo, fresco, a lunga conservazione, pastorizzato, intero, uht eccetera. Cosa consiglia il Ministro ai cittadini?
Ognuno dei prodotti da lei elencato risponde a una domanda che proviene dal mercato dei consumatori. Nostro compito è garantire che il cittadino sappia veramente cosa compra.
Tanti pregi, anche se non per tutti
Alcuni anni fa, durante un viaggio in India, visitai la cittadina di Ujjain, a sud delle pianure del Gan-ge, nel cuore del Madhya Pradhesh, uno degli stati più tradizionali del Paese. Ujjain è uno dei sette luoghi santi in cui ogni quattro anni si svolge la festività induista kumbh mela. Durante questo ma-gico evento, tra orde di pellegrini provenienti da tutta l’India, i sadu, gli asceti maestri di santità, si riuniscono per disquisire sui dettami della religione induista. Davanti a un tempio ne incontrai uno. Imperturbabile nella sua posizione yoga, presenziava seminudo un altare votivo. Lo salutai e ricam-biò cordialmente in un ottimo inglese. Dall’aspetto sembrava un ragazzo di non più di 30 anni, ma mi raccontò di averne quasi 80. Notando la mia incredulità mi svelò il segreto della sua eterna gio-vinezza. Sin da bambino il suo unico ed esclusivo alimento era il latte, un litro al giorno, e a sua me-moria non ricordava di avere mai assaggiato nessun altro cibo nella sua vita. In India il latte è considerato un alimento divino, visto che è prodotto dall’animale sacro per eccellenza, la mucca. Forse proprio per questo l’India ha la più alta percentuale di consumo di latte bovino al mondo. Ma è possibile vivere nutrendosi di solo latte? E soprattutto, l’utilizzo quotidiano di latte nella dieta è da considerarsi una abitudine sana e potenzialmente utile alla nostra salute? L’importanza del latte come alimento è dimostrata dalla funzione svolta da questo prodotto nei neonati dei mammiferi, e quindi anche nell’uomo, in cui rappresenta l’unico alimento durante le prime fasi di accrescimento dopo la nascita. L’utilizzo del latte di altre specie come alimento anche in età adulta è una prerogativa esclusiva dell’uomo che ha trovato in questo cibo una fonte nutrizionale completa. I popoli della terra per assicurarsene la disponibilità hanno addomesticato e allevato le specie della fauna locale più idonee a produrne, dalle renne allo zebù, dall’asina al cammello. Il latte di mucca è il più diffuso nel mondo e il suo consumo varia sensibilmente nei vari Paesi, con i 180 litri pro capite per anno nel nord Europa e meno di 50 litri in Giappone e Cina. Il latte bovino è una straordinaria fonte di nutrienti: lipidi, proteine di elevata qualità biologica, vitamine e minerali. È un alimento complesso e contiene numerosi principi biologicamente attivi quali ormoni, immunoglobuline, fattori di crescita, citochine ed enzimi, che di per sé possono sortire svariati effetti sulla salute. Numerosi studi epidemiologici hanno osservato che i popoli che consumano più latte sono caratterizzati da una statura media più alta, da una maggiore resistenza alle malattie, da un’attività intellettuale e manuale più intensa, da una longevità più prolungata e da un’inferiore mortalità infantile. Ciò nonostante il consumo di latte nei Paesi occidentali è sensibilmente diminuito nell’ultima decade. Questa ten-denza può essere in parte spiegata dai potenziali effetti negativi per la salute che sono stati attribuiti al latte e ai suoi derivati. Una mia cara amica nutrizionista vegana (vegetariani che escludono tutti gli alimenti di origine animale compresi, quindi, latte e derivati e le uova) identifica nel latte l’origine di tutti i mali dell’uomo, ma senza arrivare a queste forme di integralismo, sono molti i medici che considerano il latte bovino un alimento poco adatto all’uomo e alla sua salute. Parte di questo criticismo deriva dal fatto che il latte contiene un’alta frazione di acidi grassi saturi che in teoria potrebbero contribuire al rischio di arteriosclerosi e obesità. Il latte contiene vari tipi di acidi grassi, con un contenuto totale di circa 33 grammi per litro di lipidi. Circa il 95% di questi grassi sono costituiti da trigliceridi, composti da acidi grassi di diversa lunghezza e grado di saturazione. Altri lipidi sono i digliceridi (circa il 2%), il colesterolo (meno del 5%), i fosfolipidi (1%) e gli acidi grassi liberi (0,5%). Sebbene più della metà degli acidi grassi del latte siano saturi, sembra che essi non sortiscano effetti dannosi alla salute e al sistema cardiovascolare dell’uomo. Al contrario, numerosi studi hanno mostrato che l’assunzione di latte nella dieta induce cambiamenti favorevoli dei livelli serici di colesterolo. Inoltre da quanto risulta dalla letteratura scientifica, non esistono evidenze di un rischio maggiore di malattie cardiovascolari nei consumatori abituali di latte rispetto a chi non ne beve affatto. Il latte poi contiene anche un alto quantitativo di grassi insaturi, che hanno un notevole effetto benefico sulla salute. In particolare è molto ricco di acido oleico (circa 8 grammi/litro), un acido grasso monoinsaturo in grado di abbassare i livelli di colesterolo LDL, la concentrazione di trigliceridi e ridurre il rischio di coronaropatie. Il latte contiene anche una discreta quantità di acidi grassi poliinsaturi (circa 2 grammi/litro), in particolare l’acido linoleico (omega 6) e alfa-linolenico (omega 3), utili alla salute del cuore e del cervello. Inoltre il latte bovino è particolarmente ricco dell’isomero cis9 trans 11 dell’ acido linoleico coniugato (circa lo 0,6% della frazione lipidica). Questa sostanza negli ultimi anni è stata proposta come integratore in grado di ridurre la massa grassa e favorire quella magra, ma anche se altri studi ne hanno esaltato l’azione antineoplastica e ipocolesterolemizzante, in realtà resta ancora abbastanza poca chiarezza sui reali potenziali di questo grasso. Comunque, ciò che risulta da questo piccolo excursus sui grassi del latte è che più che rappresentare un elemento dannoso per la salute umana, costituiscono un potenziale vantaggio. In ogni caso, per chi non si fidasse, il latte bovino può essere consumato nella forma parzialmente scremata (in cui il contenuto in grassi è ridotto a 1,5-1,8 grammi ogni 100 grammi di prodotto) o magro (il cui contenuto è inferiore allo 0,3%). Il latte è poi una eccezionale fonte di proteine (32 grammi di proteine/litro) di alto valore biologico, il che significa che queste proteine contengono nelle giuste quantità e nelle giuste proporzioni tutti gli aminoacidi di cui l’organismo ha bisogno, ed in particolare quegli aminoacidi essenziali che l’organismo non è capace di fabbricarsi da sé e che quindi devono necessariamente essere assunti dall’esterno con il cibo. La caseina, una grossa pro-teina che lega il calcio e il fosforo, da sola costituisce circa l’80% delle proteine del latte. Il restante 20% comprende le cosiddette proteine del siero, tra cui le principali sono la beta-lattoglobina, l’alfa-lattoalbumina e varie immunoglobuline. Molte di queste proteine sembrano in grado di sortire effetti positivi sulla salute umana. Alcuni studi hanno per esempio evidenziato che l’assunzione di latte è in grado di ridurre la pressione sanguigna, e alcuni peptidi contenuti nel latte si comportano come veri e propri farmaci antipertensivi. Per quanto riguarda le vitamine, il latte contiene discrete quantità di vitamina B2 e di vitamina B12 e, in parte, anche di vitamina A. Il latte poi è famoso per essere un’ottima fonte di calcio, sia perché il latte e i suoi derivati contengono notevoli quantità di calcio (per il latte, circa 120 milligrammi ogni 100 grammi di prodotto) e sia perché il calcio contenuto nel latte è, per il nostro organismo, particolarmente facile da assorbire e da utilizzare. Anche se questa caratteristica lo rende un alimento molto utile durante le prime fasi di accrescimento del nostro apparato scheletrico, non sembra che sia invece utile nel prevenirne il deterioramento durante la vecchiaia. Per esempio, in un ampio studio condotto dalla università di Harvard, si è visto che uo-mini e donne che assumono nella dieta due o più bicchieri di latte non presentano un rischio di frat-ture e di osteoporosi inferiore a chi non include latte e latticini nell’alimentazione. Nonostante tutte queste informazioni sui valori nutrizionali e sulle capacità salutistiche del latte, la scienza non ha ancora espresso un parere unanime. Innanzitutto in Europa circa il 15% della popolazione è intolle-rante al lattosio, lo zucchero contenuto nel latte. Tali soggetti non producono l’enzima lattasi che serve a scindere i due componenti del lattosio (glucosio e galattosio) e quindi non riescono a digerir-lo, con notevoli fastidi gastro-intestinali. La capacità di digerire il lattosio in età adulta è una caratteristica evolutiva che non tutte le popolazioni
hanno sviluppato. In Africa circa il 75% della popolazione è intollerante al lattosio e in alcune zone dell’Asia quasi il 90% non riesce a digerirlo. Poi molti individui sviluppano allergie legate alle proteine del latte. Insomma se per alcune persone il latte rappresenta un alimento ideale, non neces-sariamente è vero per tutti. Del resto ogni giorno vivo questa evidenza tra le mie mura domestiche. Le mie figlie hanno sviluppato una dipendenza da latte, che oltre a nutrirle, rappresenta il loro sonni-fero abituale. Mia moglie al solo odore fugge via inorridita.
Questione innanzitutto di gusto.
Quando è di asina e di capra
Sin dall’antichità l’asino è stato apprezzato dall’uomo, oltre che per lo svolgimento delle mansioni più pesanti, per il suo latte: le sue virtù terapeutiche erano ben note. Ippocrate, considerato il padre della medicina, prescriveva il latte d’asina per numerosi mali: problemi al fegato, avvelenamenti, intossicazioni, malattie infettive, dolori articolari, febbre. Nella sua enciclopedica Naturalis Historia, analogamente Plinio il Vecchio proponeva una serie di ricette curative a base di latte di asina per combattere gli avvelenamenti, la febbre, la fatica, le ulcerazioni, l’asma. Il naturalista e biologo francese Georges-Louis Leclerc, conte de Buffon, nella sua Storia Naturale indicava i benefici del latte d’asina: ‹‹Il latte d’asina è un rimedio comprovato e specifico per alcuni mali, e l’uso di questo rimedio si è tramandato dai Greci fino a noi››. Fino all’inizio del XX secolo veniva utilizzato come sostituto del latte materno. La testimonianza del 1928 del professor Charles Porcher della Scuola Veterinaria di Lione, in Francia, dimostra che la pratica era ancora diffusa, ma in minor misura, nel primo Dopoguerra: ‹‹Sembra che si ritorni al latte d’asina come alimento per la prima infanzia nel caso, in particolare, in cui il bambino sia di salute alquanto delicata. Non che il latte d’asina sia stato del tutto abbandonato ma, mentre circa 25-30 anni or sono, nelle città si trovavano abbastanza facilmente delle asine allevate per il loro latte con il quale si nutrivano i lattanti, si può dire che da allora questa pratica fosse, per così dire, del tutto scomparsa››. Arrivando ai giorni nostri solo dal 1990 c’è stato un risveglio scientifico sull’argomento. Molti di questi studi hanno dimostrato l’importanza del latte di asina come sostituto del latte materno. E così oggi come allora il latte di asina trova nobile impiego soprattutto nell’alimentazione dei neonati allergici alle proteine del latte vaccino (sindrome da APLV- Allergie alle proteine del latte vaccino) e che non possono disporre del latte materno. La composizione chimico-nutrizionale del latte di asina, difatti, essendo sovrapponibile a quella del latte materno per quanto attiene al contenuto in lattosio, proteine e residuo secco, fa di esso l’alimento d’elezione per la cura di APLV e PA (Poliallergie alimentari). Il profilo ipolipidico, poi, con esplicito riferimento agli acidi grassi insaturi (riparatori delle membrane delle cellule nervose e preziosi alleati nella prevenzione del rischio cardiovascolare), unitamente alle sieroproteine (potenziatici del sistema immunitario), alle vitamine e al lattosio (importante per favorire l’assorbimento del calcio nella prevenzione dell’osteoporosi), rendono il latte d’asina particolarmente indicato anche nell’alimentazione degli anziani. Il ridotto contenuto lipidico, inoltre, consente al latte d’asina di inserirsi nella comune dieta giornaliera, soprattutto in quella dei soggetti a regime dietetico e in quella degli sportivi. L’utilizzo del latte di asina, tuttavia, è ostacolato da diversi fattori, in particolare dalla difficile reperibilità, dovuta a un numero esiguo di capi allevati.
Questo problema, tuttavia, sembrerebbe in fase di risoluzione: dati recenti segnalano un aumento di circa il 30% dei capi allevati negli ultimi cinque anni.
Di più facile reperibilità, ma pur sempre un ottimo sostituto del latte vaccino è il latte di capra. L’allevamento caprino ha origini antichissime, la capra è, infatti, tra gli animali di più antica domesticazione. Essa avvenne verso il 9.000-10.000 a.C. nel Medio Oriente a partire dalla Capra aegrarus, l’unica vivente all’epoca in quest’area. I primi ad addomesticare le capre, stando ai reperti, furono gli abitanti dei Monti Zagros, in Iran, allo scopo di avere una fonte sicura e sempre acces-sibile di pelli, careni e latte. Dopo aver registrato una netta contrazione dei consumi all’inizio del XX secolo, il latte di capra sta oggi riguadagnando il prestigio perduto. Le sue proprietà-nutrizionali sono infatti degne di nota, tanto da renderlo un valido sostituto al tradizionale latte vaccino. Rispetto a quest’ultimo, la frazione lipidica del latte di capra si distingue per la minor dimensione del globuli lipidici e per il più elevato contenuto in acidi grassi a corta e media catena, caratteristiche che lo rendono da un lato più digeribile e dall’altro più saporito, conferendogli un aroma ed un sapore leggermente dolciastro. La frazione lipidica del latte di capra è caratterizzata inoltre da un elevato contenuto in acido linoleico coniugato, molecola cui sono riconosciute proprietà anticancro e attività protettive per patologie connesse con il diabete e l’apparato cardiovascolare. Per quanto concerne le vitamine, bisogna evidenziare un buon contenuto del gruppo B e un minor quantitativo di acido folico e B12. Per gli elementi minerali il latte di capra presenta un ricco contenuto di calcio, fosforo, potassio e magnesio, per cui nei bambini alimentati con latte caprino emerge una migliore compattezza del tessuto osseo. Gli effetti terapeutici del latte di capra sono legati anche alla risoluzione di fenomeni di intolleranza alle proteine del latte vaccino (IPVL). I risultati dell’utilizzo del latte caprino ha dato effetti positivi nel 75% dei casi e questo a causa dell’elevato polimorfismo dell’as1-caseina caprina. Nei casi in cui l’intolleranza è stata trattata con latte caprino privo o con basso contenuto di as1-caseina si è osservata una forte riduzione della reazione allergica, non ottenuta a seguito di trattamenti con latte caprino ricco in questa frazione caseinica.
di Claudio Lo Tufo e Rosalia Imperato
fonte agricolturaitalianaonline.org.it