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Un piatto tipico, un ingrediente che “faccia Lombardia” non c’e’. Il risotto giallo dei milanesi e’ ignorato dai mantovani, cosi’ come la polenta con gli uccellini del bergamasco lascia indifferente il cremonese.Uno stemma da inalberare sulla cucina lombarda non e’ mai stato inventato.Eppure a ben guardare, osservando come le massaie mettono sul fuoco questo o quel piatto qualcosa di comune si trova.Ad esempio, il riso in Lombardia vien consumato molto piu’ che la pasta; il formaggio arriva su tutte le tavole a fine pranzo poiche’ al lombardo non par di finire il pranzo se “non si pulisce la bocca” con un pezzetto di grana o di robiola dolcissima. Ecco poi le sue carni,..buone come in poche altre regioni.Le mucche danno ottimo latte, il manzo una carne saporitissima e tenera, i latticini poi, espatriano, tanta e’ la loro bonta’ e freschezza. Gettate queste basi comuni in questa regione traversata da fiumi e nebbie di comune rimane ben poco. Da una provincia all’altra regna una simpatica e agguerrita indipendenza culinaria.
Pur diversificata nelle sue molteplici tradizioni provinciali, la cucina lombarda presenta tratti comuni nel prevalere del burro sull’olio nei condimenti, nel consumo di riso più abbondante di quello di pasta e nella ricca produzione di formaggi tipici
La cucina lombarda non è una cucina omogenea: basti pensare come sono lontani, per tecnica di preparazione, per sapore e tradizione, il risotto alla milanese dalla polenta con gli uccelli bergamasca, la mostarda di Cremona dai pizzoccheri della Valtellina, i tortelli di zucca mantovani dalla zuppa pavese. La varietà geografica della regione, fatta di monti e pianure, laghi e fiumi, e la complessità della sua storia, che ha visto il dominio di Venezia estendersi fino a Brescia e a Bergamo, e ha conosciuto austriaci, francesi, spagnoli, spiegano le diversità tra provincia e provincia. A Bergamo e Brescia la tradizione veneta si impone con la polenta; a Mantova e a Cremona si sentono i sapori della Bassa Emiliana; Pavia, tra la pianura risicola e le colline coltivate a vigneti, ha una gastronomia diversa da quella di Milano. Esiste, tuttavia, un denominatore comune: il burro, prodotto fondamentale della Lombardia fin dai tempi della conquista romana. Si racconta che Cesare, tornando dalla Gallia, sia stato invitato a cena da Valerio Leonte, un ricco signore milanese, che gli offrì fra l’altro un piatto di asparagi al burro. I luogotenenti di Cesare, che conoscevano probabilmente soltanto l’olio come condimento, storsero il naso davanti a quella novità, ma Cesare li richiamò ai doveri della cortesia verso l’anfitrione. Oggi gli asparagi al burro sono un piatto che entra nei menu di tutto il mondo.
La ricca produzione di latticini dà una grande varietà di formaggi: il grana lodigiano, il gorgonzola, il taleggio, la robiola, lo stracchino, il cremoso mascarpone, che si ottiene dal fiordilatte.
Il primo piatto più diffuso è il risotto, preparato in diverso modo nelle diverse città. La grande qualità del risotto alla milanese non sta soltanto negli ingredienti (primo fra tutti lo zafferano di provenienza arabo-sicula) ma anche nella cottura. Il riso viene messo a crogiolare nel soffritto di burro, midollo di bue, olio e cipolla, e questi primi minuti di fuoco sono essenziali. I chicchi assorbono il condimento e si tostano in modo da conservare intatte, nella successiva cottura nel brodo, la consistenza e la morbidezza. Il risotto avanzato non si butta via ma lo si riporta in tavola “al salto”: si allargano gli avanzi nella padella e si cuociono al burro finché non diventano croccanti. Il riso bresciano è “alla pitocca”, cotto nel brodo con grossi pezzi di pollo. In modo assai diverso si prepara il riso “alla pilota” di Mantova: messo in casseruola con la quantità d’acqua che riesce ad assorbire in dieci minuti alla fiamma, viene quindi lasciato a riposare per altri dieci minuti sotto il coperchio, per aggiungere quindi il condimento di salamelle soffritte e di formaggio. Due specialità di Mantova, che derivano dalla tradizione della corte ducale, sono gli “agnolini dei Gonzaga” con un ripieno di polpa di cappone e di spezie, e i “tortelli di zucca”, che contengono amaretti pestati e mostarda di mele a correzione del sapore dolce di fondo.
Oltre al riso, a Brescia e a Bergamo, si mangiano i ravioli, i “casonsei”, che fanno da base a uno strato di pesci o carni. A Bergamo trionfa la polenta che accompagna stracotti e brasati, oppure è pasticciata con ragù di carne e funghi, o ancora, nella versione più classica, con gli uccelli; a Pavia il primo piatto più caratteristico è la “zuppa pavese”, preparata, stando alla tradizione, non da un cuoco di corte ma da una contadina nel 1525 per Francesco I di Francia, sconfitto vicino a Pavia da Carlo V di Spagna. Si narra infatti che il re si aggirasse affamato nella campagna finché, arrivato in un casolare, chiese a una donna un po’ della minestra di verdura che stava cuocendo. Per insaporirla, la donna vi ruppe sopra due uova.
Il pesce compare sulle tavole delle province di Como e di Varese: pesce persico, cavédani, tinche, temoli, agoni, lavarelli, trote salmonate. I “missoltit”, gli agoni del Lario, vengono seccati al sole e posti in bariletti con timo e lauro. A Pavia si mangiano le rane, adagiate sul risotto o in guazzetto, e da non perdere l’anguilla secondo la ricetta di Borgo Ticino, cotta nel burro con cipolla, erbe, noce moscata e vino.
La costoletta – di vitello con l’osso – sembra sia nata nella Milano degli Sforza quando venne di moda dare alle vivande una coloritura dorata. I medici medievali credevano che l’oro facesse bene al cuore perciò nelle famiglie ricche si cominciarono a preparare le carni rivestendole di lamine dorate. Il rimedio non era efficace, ma i cibi dorati piacevano all’occhio. L’involucro della costoletta è un impasto di uovo sbattuto e pangrattato. I milanesi si indignano quando sentono dire che la loro costoletta deriverebbe dalla Wienerschnitzel, e hanno ragione. Un documento redatto dall’aiutante di campo di Francesco Giuseppe e conservato nell’archivio di Stato di Vienna, cita un rapporto di Radetzky in cui il feldmaresciallo, oltre a ragguagliare l’imperatore sulla situazione politica ed economica, raccontava che i milanesi sapevano preparare un piatto squisito: la costoletta intinta nell’uovo, impanata e fritta nel burro.
In quasi tutta la Lombardia un piatto che compare spesso sulla tavola è la “cassoeûla”, uno stufato di cotenna, salsiccia, piedini, testina, puntine di maiale, verze. A Varzi, dal maiale ricavano un salame e una coppa saporitissimi. Meno rinomati sono i “mondeghili” (polpettine di manzo fritte nel burro).
Lodi, Crema e Cremona hanno una cucina ricca di carni che danno i brasati, le “rostisciade”, le “busecche”, e comprendono la cacciagione. Fra i formaggi eccelle il grana lodigiano che, più grasso del parmigiano-reggiano, con la stagionatura si riempie di minuscole caverne dette “büs” che stillano gocce squisite. La mostarda, composta di frutta intera o a pezzi drogata con senape, è una specialità di Cremona e accompagna il lesso, lo stracchino o il mascarpone.
In Valtellina si mangiano i “pizzoccheri”, grosse tagliatelle di farina di grano saraceno, cotte con patate, verze e altre verdure, condite con burro fuso e servite con il “bitto” e lo “scemut”, i formaggi della valle. La farina “taragna” – da “tarai”, il nome del bastone per girarla – viene condita con burro e formaggio durante la cottura. Gloria della Valtellina è la bresaola, filetto di bue salato, aromatizzato e fatto seccare, che nella versione “concia” è cucinata con lardo, cipolla, aromi e funghi. Da non dimenticare la faraona alla creta “alla valcuviana”: il metodo di cottura è quello usato dai guerrieri antenati dei longobardi.
Il panettone è antichissimo. Da dolce natalizio a base di pane si arricchì di ingredienti all’ epoca di Ludovico il Moro. Di origine pavese è invece la colomba, un dolce pasquale.