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Inverno, tempo di quaresima. ..siamo nel quattrocento e quest’anno il giorno di San Vincenzo, cade di venerdì. Un povero contadino, Vincenzo, ha acquistato al mercato del pesce una bella anguilla di dieci libbre (3,3 chili), da portare in offerta al curato della sua parrocchia, Ser Meoccio, perché crede che le offerte destinate ad onorare il giorno del Santo siano apprezzate da Dio, l’unico cui spettino con ragione le elemosine poiché, come sempre predica il curato
“non è giusto donare ai poveri, che dei beni non sanno fare buon uso, né ai carcerati, che non sarebbero in prigione se non fossero dei tristi figuri.”…………….
Vincenzo è riuscito a procurarsi quella bella anguilla grazie ad uno statuto cittadino che impone che i pesci invenduti vengano lasciati ai poveri, onde impedire che possano essere messi in vendita non più freschi. Vincenzo giunge tardi in chiesa, quando il curato ha già iniziato a celebrare la messa. Il cuoco, imbarazzato, dalla porta attira l’attenzione del prete mostrandogli con grandi gesti l’anguilla. Il curato capisce.e mentre sta per narrare i miracoli e i martirii subiti da S. Vincenzo, devia il discorso con questo passaggio:
Prima pellaro quella anguilla con l’acqua bollita e cavaro quello entro, e mozzarlo la coda e la testa, poi lavaro bene a sei acque, poi ne fecero rocchij agugliti d’uno palmo l’uno o meno e miserli in uno spiedone confronde d’alloro in mezzo in mezzo tra’ rocchij, acciocchè non s’attaccassero insieme, e così temperatamente l’arrostìro e avendo prima messo in una conchetta sale, aceto e un gocciolino d’olio, con quattro spezierie dentro,cioè pepe, specie garofani e celamo fino, di ognuno di questi una mezza oncia, e con una rametta di osmarino, sempre di questa zenzaverata l’andavo ognendo: e quando fu bene cotta e spolpata, la trassero in una conca da gelatina, e ivi i rocchij assettàro; poi con una teglia da migliacchi caldetta la copersero, acciocché calda si mantenesse infine che fossero a tavola.
La traduzione dell’ antico piatto che ancor oggi si prepara sulle rive del Trasimeno:
Prima tolsero la pelle all’anguilla con acqua bollente e la svuotarono dalle interiora; tagliarono la coda e la testa poi la lavarono bene e cambiarono l’acqua sei volte, poi ne fecero dei pezzi lunghi un palmo o meno e li infilarono su uno spiedo, inframezzati da foglie di alloro affinché non si attaccassero insieme, e così li fecero arrostire a fuoco moderato; e avendo prima messo in una ciotola sale, aceto e un goccio d’olio, con dentro quattro spezie, cioè pepe, chiodi di garofano e cannella mezza oncia (15 gr.) ciascuno con un rametto di rosmarino unsero continuamente l’anguilla con quest’acqua di zenzero: e quando fu ben cotta, con la carne staccata dalla lisca, la misero in un piatto concavo dove sistemarono i pezzi poi vi spremettero sopra due melagrane con ben venti arance e vi cosparsero molte spezie, quindi la coprirono con una teglia da migliacci tiepida perché si mantenesse calda fino al momento di andare a tavola.