La Liquirizia

Le notizie più antiche, circa l’uso della liquirizia, risalgono al periodo della civiltà egizia, quindi 6000 anni fa: le civiltà dei romani e dei greci, come quella indiana e cinese, conoscevano le proprietà di questa pianta. Dall’Asia al mezzogiorno d’Italia la lavorazione della liquirizia per tantissimo tempo è stata considerata un di più, un’economia marginale rispetto alle più importanti colture di cereali. In compenso intorno ad essa nei secoli sono nate moltissime leggende e credenze popolari, delle quali si parla ancor oggi; come quella che testimonia gli eventi che sono alle origini della raccolta e della lavorazione della liquirizia in Italia.

C’era un tempo -si narra- in cui i nobili vivevano in collina, e i contadini nella striscia di terra vicino al mare; una terra molto fertile, ma dura, soprattutto per quel sole micidiale che non lasciava scampo. I contadini protestavano e chiedevano aiuto ai nobili contro il sole, che li accecava di mattino e li colpiva alla nuca al ritorno pomeridiano dai campi; ma contro il sole nessun aiuto era possibile, così i nobili proposero uno scambio: le più fresche terre dell’interno, che d’altra parte i nobili non coltivavano certo da soli, in cambio delle calde ma più fertili terre del litorale. Nacque così il latifondo fra la Sila e il mare, in tutto il metapontino.

Erano anni lontani, secoli fa, e i terreni si mettevano a coltura a rotazione, così, quando i contadini andavano a preparare il terreno, lo trovavano infestato da radici, quasi dei rami sotterranei, che arrivavano a misurare anche un metro in profondità, tanto che si affermava che il succo della liquirizia fosse nero perché le sue radici erano tanto lunghe da arrivare fino all’inferno. Le radici dovevano assolutamente essere rimosse per poter coltivare i campi.

Secondo la leggenda nacque così, dalla necessità di ripulire il terreno e di dare lavoro ai contadini anche durante il periodo di riposo del terreno stesso, la scoperta di questa pianta dalle proprietà interessantissime. Già l’Abate di Saint-Non, un grande viaggiatore del ‘700, ci parlava di un fuoco acceso nel concio, la fabbrica di allora, e delle “bassine” che erano le fornaci nelle quali venivano messe a bollire le radici lavate, tagliate e macinate. La pasta nera così ottenuta veniva versata in una grande conca in cui bolliva, girata sempre più faticosamente, man mano che si addensava, da uomini energici, sotto lo sguardo attento del mastro liquiriziaio.

L’esportazione della liquirizia calabrese si consolidò ed ampliò nella seconda metà del secolo XIX ed ancora nel primo decennio del secolo XX. Con l’avvento della prima guerra mondiale i mercati esteri si chiusero e quando la situazione ridiventò normale non si riaprirono del tutto perché,specialmente negli Stati Uniti d’America, furono impiantate fabbriche di liquirizia, come Le industrie straniere, oltre a fare concorrenza ai prodotti finiti dell’industria calabrese, sottrassero ad essa parte della materia prima, perché in grado di pagarla meglio. Intorno al 1928 si ebbe una buona ripresa nella produzione del succo di liquirizia e nelle esportazioni, ma la grande crisi economica degli anni 1929-31 provocò fallimenti e chiusure di molte aziende calabresi che, alla vigilia del secondo conflitto mondiale rimasero poco più di una dozzina. La guerra provocò l’interruzione della produzione di tutte le fabbriche e per alcune fu la fine

Sin dall’antichità, nell’Italia centro meridionale erano i frati domenicani ad estrarre il succo di liquirizia, grazie all’ottima qualità delle radici che crescevano in tutte queste zone. Ora come allora, il metodo tradizionale di estrazione del succo di liquirizia si basa sull’infusione delle radici sfibrate in acqua calda, che mantiene integralmente la purezza e le proprietà organolettiche e non brucia gli zuccheri naturali e le sostanze termolabili che costituiscono l’aroma.

Liquore alla liquirizia

Ingredienti:200 gr di liquirizia in polvere, 1,5 litri di acqua, 1,2 kg di zucchero raffinato, 1 litro di alcool a 95°.

Preparazione: scaldare l’acqua portandola quasi alla ebollizione, sciogliere prima lo zucchero e poi la polvere di  liquirizia facendola cadere a pioggia poca per volta con un cucchiaino da caffè e girando in continuazione con un cucchiaio o un mestolo. Finita la polvere spengere il fuoco e far raffreddare lo sciroppo fino a temperatura ambiente sempre mescolando. A questo punto unire l’alcool girando con il mestolo per amalgamare bene sciroppo e alcool, finito ciò imbottigliare.

Fare lo sciroppo in una pentola che abbia una capienza di circa 5 litri e che sia fatta con materiale con poca aderenza, che non faccia attaccare il contenuto nella cottura, (l’alluminio va benissimo). Una volta imbottigliato il liquore di tanto in tanto scuotere le bottiglie, per far si che eventuali grumi di liquirizia in formazione specialmente sul fondo si sciolgano prima di solidificarsi troppo. E’ buono anche subito, ma dopo un mese o due,l’alcool e lo zucchero si saranno amalgamati a dovere.

 

 

 

 

 

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