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In Italia il gusto alimentare, per ciò che concerne i primi piatti, cambia lentamente attraverso i secoli. Se nei ricettari del Platina, dello Scappi e poi, nella metà del Seicento, del Tanara troviamo che la pasta, pur ricordata e nominata, non possiede, come si è detto, un ruolo specifico di piatto di entrare o di primo piatto, al contrario, con l’ evolversi del gusto gastronomico, acquista nel ‘700 uno spazio alimentare sempre più preciso e codificato. Infatti con la riforma della tavola voluta dai filosofi e dai medici Illuministi, i pasticci, i maccheroni , la pasta condita in modo più semplice e senza l’eccesso di spezie , le minestre, acquisiscono un ruolo sempre più autonomo ed uno spazio proprio rispetto alle altre portate , dato che l’ andamento del pasto dovevano procedere, come riteneva Brillat Savarin nel suo XII aforisma, secondo un metodo non dannoso alla salute:” l’ ordine delle vivande è: dalle più temperate alle più fumose e alle più profumate”. Una conferma di quanto si sostiene può venire dal ricettario di Alberto Alvisi, cuoco del cardinale Chiaramonti, futuro papa Pio VII (1800 1823) nel quale tutti i piatti di pasta al ragù, i maccheroni , i cappelletti o i tortellini, sono presentati secondo un ordine ed una funzione gastronomica ormai del tutto simile a quella odierna.
Va ricordato che, proprio ai piatti quaresimali, dobbiamo la gran varietà di minestre e zuppe. In quaresima, infatti data l ‘ astinenza totale dalla carne l’ unica possibilità che restava , se non si poteva avere a disposizione grandi quantità di pesce, era il ricorrere alle zuppe di legumi che, infatti vengono citate in gran copia nelle appendici dei ricettari riservati alla quaresima ,ed e’ chiaro che proprio la gastronomia elaborata dagli ecclesiastici dovevano tener conto di queste esigenze. L’esempio più significativo e’ offerto dal ricettario quattrocentesco del Bockenheym che da inizio alla parte gastronomica riguardante la quaresima nel modo seguente: “incipit registrum coquine in quadragesima et primo de porro” . l’ elenco delle minestre quaresimali prevedeva la zuppa di porri, riservata ai canonici ed ai vicari, le rape ritenute adatte, invece, ai cittadini, la minestra di spinaci e la zuppa di piselli da prepararsi per gli Italiani la prima, per gli abitanti delle campagne la seconda. Seguendo poi le minestre di canapuccia, adatte agli infermi , quelle di farro consigliate per i deboli, mentre la minestra di fave e’ ritenuta un cibo consono ai chierici vaganti ed ai pellegrini. Non mancano nell’ opera del Bockenheym, come anche nei ricettari cinquecenteschi dello Scappi e del Cervio, le zuppe e le minestre a base di riso. Appare chiaro, sopratutto scorrendo le pagine del registrum, i piatti citati erano in qualche misura considerati di ripiego e necessari perché imposti dall’ astinenza quaresimale, dato che nessuno di questi, pur conosciuti dai grandi cuochi papali del cinquecento, figura mai negli elenchi dei banchetti più fastosi di grasso o di magro, citati in precedenza . la maggior parte di queste ricette erano infatti riservate a persone considerate di rango inferiore, oppure da prepararsi nei tempi di astinenza. Se infatti si prende in esame il registro relativo ai pesci dettato dal Bockenheym, troviamo che le lamprede, le anguille ed il pasticcio di pesce, i cibi cioè di maggior pregio e qualità, erano riservati ai soli nobili ed agli alti dignitari ecclesiastici e che, in genere, i piatti a base di verdure fresche venivano considerati adatti agli abitanti dell’ Italia o agli impiegati di rango inferiore della cancelleria.