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Qualunque ne sia la varietà, l’origine del tè è in Cina e, se la leggenda la attribuisce a una casuale scoperta del divino Shen Nong, sovrano mitico e padre dell’agricoltura (2737-2697 a.C.), i buddhisti preferiscono raccontare che sia stato Bodhidharma, il monaco indiano che introdusse la forma del buddhismo zen in Cina, a dare origine alla prima piantina di tè. Si narra che egli si asportò un giorno le palpebre per punirsi di essersi addormentato durante la meditazione: nel punto in cui le palpebre caddero in terra, vi nacque la prima pianticella del tè , le cui foglie hanno infatti la forma di una palpebra e il cui infuso rappresenta da allora un aiuto ai monaci per vegliare nelle lunghe ore notturne della meditazione.
Per quanto suggestivi possano essere racconti e leggende sulla nascita del tè e per quanto associati allo spirito di degustazione dell’infuso, più fondate appaiono le teorie basate sullo studio dell’onomastica del tè nel corso della sua storia.
Il più antico termine attribuito al tè è il carattere tu, assai simile al carattere cha, in adozione oggi, ma con un trattino orizzontale in più nella forma grafica. Il carattere tu risale già ai tempi di Confucio (VI secolo circa a.C.) e nelle fonti indica un’erba offerta in occasione di cerimonie funebri.
Nel periodo delle Dinastie del Nord e del Sud (386-589 d.C.), l’abitudine di bere il tè si diffuse poi rapidamente nella Cina meridionale e, successivamente e più lentamente, anche nelle regioni settentrionali.
Fu soltanto in epoca Tang (618-906 d.C.) però, che l’abitudine del consumo del tè si diffuse in tutto il paese, entrando a far parte dei costumi del popolo cinese e potendosi annoverare tra le sue arti, insieme alla pittura, alla calligrafia, alla poesia o al weiqi, un complesso gioco di scacchi.
Fu in questo periodo infatti, a cavallo dell’VIII secolo, che Lu Yu scrisse il “Canone del tè“, il più antico e il più importante trattato al mondo sulla coltivazione, preparazione e degustazione del tè.
Durante la dinastia Tang, si pensava che il tè migliore provenisse dai giardini di Yangxian, un’area montuosa situata tra le attuali province costiere dello Zhejiang e dello Jiangsu: con la definizione di “giardini da tè” non si indicano per l’appunto luoghi all’aperto riservati alla degustazione del tè, ma i luoghi di coltivazione e così gran parte di questa regione fu in quel periodo destinata alla piantagioni da tè.
Quando verso la fine dell’VIII secolo un messo imperiale, incaricato di ispezionare quelle zone, ne spedì a corte una quantità di mille once, questa, per tutta risposta, ne richiese una fornitura annuale.
Nacque così la pratica del “tributo del tè“, che ebbe per molti secoli fondamentale importanza nella economia agricola cinese.
Oltre trentamila persone, entro la fine dell’VIII secolo, erano impegnate, per un periodo di trenta giorni all’anno, nella raccolta e nella essiccazione del tè destinato al tributo imperiale.
Scelto un giorno propizio della terza luna del calendario lunare (approssimativamente nel mese di aprile), i funzionari addetti al controllo del tributo del tè offrivano sacrifici alle divinità di montagna, riunendosi sulle pendici del monte Meiling; quindi, alle prime luci dell’alba, iniziava la raccolta.
Il tè infatti avrebbe conservato la sua fragranza solo se raccolto quando fosse stato ancora ricoperto di rugiada del mattino: migliaia di raccoglitrici, guidate dal suono dei tamburi e dei piatti, indossando ben visibili contrassegni di riconoscimento perché nessun ladro potesse confondersi in mezzo a questo esercito, lavoravano nelle ore gelate del mattino, spigolando con le unghie i teneri germogli, in modo da evitare qualsiasi contaminazione delle foglie con il calore o il sudore delle dita.
La raccolta si interrompeva a mezzogiorno, mentre la restante parte del giorno sarebbe stata interamente dedicata alle operazioni di essiccazione in un forno speciale e alla polverizzazione delle foglie, dalle quali infatti si otteneva una pasta che, collocata negli appositi stampi, sarebbe divenuta quindi dura e compatta come una focaccetta, forma nella quale il tè veniva allora impacchettato e spedito.
Fiorita così in epoca Tang, l’arte del tè raggiunse nuove glorie con l’imperatore Huizong dei Song settentrionali (960-1127), al quale si deve una delle opere letterarie sul tè, il Daguan Chalun o Trattato del tè.
La varietà più pregiata fu chiamata in questo periodo beiyuan, dal nome del più celebre dei quarantasei giardini imperiali riservati alla coltivazione e lavorazione del tè, dotato ciascuno dei propri forni e delle proprie attrezzature per l’essiccazione e il trattamento termico delle foglie.
Le case da tè avevano allargato intanto la loro popolarità, e non solo tra i ceti benestanti, così andavano differenziandosi per la qualità e il numero di servizi, a seconda della località nella quale sorgevano o della clientela cui si rivolgevano: le più lussuose si distinguevano per il pregio degli arredi, per la presenza di pini e cipressi nani (allora particolarmente in voga), per l’esposizione di preziose opere di calligrafi, per il tè servito nella porcellana più trasparente su vassoi di lacca pregiata.
Nelle città, anche al di fuori delle case da tè, l’infuso campeggiava sovrano nelle abitudini dei Cinesi: se ne bevevano enormi quantità e il tè sostituiva l’acqua, anche al di fuori del pasto, come d’altronde avviene ancor oggi nel costume nazionale.
Dopo gli anni del periodo mongolo, designato con il nome cinese di Yuan (1277-1367), a partire dall’epoca della dinastia Ming (1368-1644) si diffuse l’uso della conservazione del tè sfuso, in foglie piuttosto che in panetti compressi, e tale abitudine si è di fatto mantenuta fino ai giorni nostri.
Intanto, la richiesta di tè da parte delle popolazioni di confine, già forte e pressante in epoca Song, si era fatta addirittura massiccia: l’Ufficio responsabile del baratto del tè con i cavalli mongoli era stato posto sotto il controllo delle più importanti gerarchie dell’esercito imperiale e per incentivarne la coltivazione presso tutta la popolazione agricola del paese la tassa relativa alla sua produzione era stata ridotta alla centesima parte del raccolto.
Fu in questo periodo che il tè giunse in Europa.
Erano stati già in precedenza, a partire dal IX secolo, i racconti dei mercanti arabi a far giungere qui la notizia del consumo del tè.
A partire dalla seconda metà del XVI secolo, i Portoghesi, ottenuta in concessione la penisola di Macao, intrapresero fiorenti traffici e portarono alla corte di Giovanni IV, tra le altre preziose mercanzie, anche le prime modeste quantità di tè.
Fu però la Compagnia olandese delle Indie orientali a dare avvio nell’anno 1610 alla prima vera e propria attività di importazione del tè.
Solo un secolo più tardi la Compagnia britannica delle Indie orientali ne seguì le orme, per soddisfare la richiesta del mercato inglese e solo nel XIX secolo anche quello francese e tedesco.
Nel Seicento insieme ai pionieri olandesi, solo gli zar di Russia avevano mostrato un equivalente interesse commerciale per il tè: fu con il regno di Pietro il Grande (1672-1725) che le preziose foglioline giunsero nei paesi scandinavi e nell’impero asburgico.
Il carattere cinese usato per il tè si pronuncia chà , ma in alcuni dialetti delle aree costiere cambia in tei: da ciò proviene la differente denominazione di cha o chai assunta in Russia, nell’Asia centrale e in India, dove il tè giungeva infatti via terra, rispetto alla denominazione di tè o tea nell’Europa occidentale, dove le spedizioni di tè giungevano attraverso porti della Cina sud-orientale.
In Cina intanto veniva abolita la vecchia tassa sul tè: esso era diventato tanto necessario alla popolazione quanto altri generi di prima necessità e si annoverava ormai tra questi insieme all’olio, sale, legna, riso, salsa di soia e aceto.
Se dunque la Cina ha dettato per prima le regole di degustazione, tuttavia il tè, diffondendosi nel mondo, ha vissuto la sua storia originale e indipendente, assumendo il gusto che popoli differenti gli hanno di volta in volta conferito seguendo le proprie preferenze.