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Il pesce nelle società antiche di area e cultura cattolica, prima della Rivoluzione Francese, era considerato l’alimento principale nei giorni di digiuno e astinenza.
A differenza della visione moderna, il pesce non rappresentava un cibo di particolare valore nutritivo come invece veniva attribuito alla carne. Ai piatti basati sul pesce, chiamati appunto piatti di magro, si associavano automaticamente i momenti di privazione e le giornate lunghe e tristi del periodo quaresimale. I ricettari antichi prevedevano tutta un’appendice dedicata alle preparazioni, forse le piu’ difficili, per i giorni di digiuno e astinenza. Dati i limiti della conservazione degli alimenti, i giorni di magro, oltre 120 seguendo il calendario ecclesiastico, presentavano non pochi problemi, anche di ordine gastronomico nelle società di antico regime. I ricettari più antichi registrano indirettamente queste difficoltà e lo evidenziano nell’essenzialità della descrizione dei piatti per la Quaresima e nel numero limitato di commenti e indicazioni per le ricette che provocavano forse molti sforzi inventivi per i cuochi di allora con un moderato entusiasmo per i commensali. Bockeneym nel suo “Registrum”, scritto nel contesto romano della corte papale, acclude un’appendice specifica dedicata al tempo di Quaresima e alle ricette a base di verdure e pesce. Vengono descritte, infatti, diversi piatti di pesce due dei quali particolarmente curiosi; il primo è a base di salmone, pesce allora piuttosto raro nei contesti gastronomici italiani e il secondo piatti menziona lo stoccafisso che doveva esser già conosciuto e commercializzato nell’Europa Mediterranea proprio per sovvenire alla necessità delle popolazioni nei periodi di astinenza e digiuno. Il “Registrum” evidenzia come, presso la corte papale e l’alto clero, il digiuno e l’astinenza fossero sicuramente seguiti anche se la complessità e la ricchezza delle preparazioni e l’uso abbondante di spezie, fa presumere che le riflessioni accorate di San Bernardo fossero abbondantemente disattese.