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Il Castelmagno deve il suo nome al comune omonimo della Valle Grana, nelle Alpi Cozie, in Piemonte, dove viene prodotto da tempo immemorabile.
Il primo documento ufficiale a registrare l’esistenza e l’apprezzamento del Castelmagno è una sentenza arbitrale del 1277. la sentenza riguarda l’usufrutto dei pascoli delle Grange Martini, nella Comba di Narbona, ai confini tra Castelmagno e Celle Macra.
Nella controversia, il comune di Castelmagno ebbe la peggio ed il prezzo della sconfitta impose il pagamento di alcune forme di formaggio come canone annuo da versare al marchese di Saluzzo.
Apprezzato per la sua qualità, fin dalle sue origini, è stato però riscoperto a livello nazionale ed internazionale solo in anni recenti grazie all’opera di razionalizzazione e standardizzazione delle tecniche di produzione che, seppur tramandate da secoli nelle loro linee generali, restano completamente artigianali e registrano molte varianti legate ai luoghi, ai tempi e ai metodi di lavorazione adottati dai singoli produttori che pur riducendosi di numero, raffinano e migliorano le tecniche di lavorazione del Castelmagno, adoperandosi per una più attenta tutela del marchio.
Oggi, la zona di produzione e stagionatura – da cui deve provenire anche il latte destinato alla trasformazione – è rigorosamente limitata, dal disciplinare di produzione, ai tre comuni dell’alta valle: Castelmagno appunto, Pradleves e Monterosso Grana.
Le caratteristiche del Castelmagno sono legate all’origine della materia prima, al luogo e al metodo di trasformazione.
La particolare varietà e la fragranza delle erbe presenti nei pascoli – caratterizzati da una flora costituita da graminacee dei generi Poa e Festuca – dell’alta valle Grana costituiscono il presupposto fondamentale per comprendere appieno la qualità, il sapore e il profumo di questo eccellente prodotto caseario .
Il latte proviene da vacche appartenenti alle razze tipiche dell’arco alpino in particolare la Piemontese, la Bruna Alpina e le varie Pezzate Rosse.
Il latte destinato alla produzione del Castelmagno deve essere esclusivamente crudo e proveniente da un minimo di due a un massimo di quattro mungiture consecutive (al quale possono essere aggiunte piccole quantità di latte ovino o caprino).
Dopo l’eventuale scrematura per affioramento, va riscaldato alla temperatura di 30-38 °C la coagulazione avviene in un tempo tra i 30 e i 90 minuti.
Quando il coagulo ha raggiunto un sufficiente grado di rassodamento lo si rivolta. Successivamente lo si rompe mantenendolo sempre all’interno del siero di lavorazione chiamato tradizionalmente “la laità”.
La rottura successiva viene effettuata dapprima grossolanamente e poi in modo sempre più fine sino ad ottenere granuli caseosi omogenei delle dimensioni da un chicco di mais a nocciola.
La cagliata viene messa in una tela asciutta e pulita chiamata “risola” in tessuto vegetale o sintetico. La risola va poi eventualmente pressata e appesa oppure appoggiata su un piano inclinato. Si lascia, quindi, riposare per almeno 18 ore, necessarie perché il siero residuo fuoriesca senza l’azione di pressature.
Trascorso questo periodo la cagliata viene messa in recipienti immersa nel siero che con il passare delle ore potrà diminuire ed infine coperta per un periodo che va dai 2 ai 4 giorni.
Successivamente viene rotta e poi finemente tritata, rimescolata e salata.
Il prodotto viene avvolto in una tela di tessuto vegetale o sintetico ed introdotta nelle “fascelle” di formatura in legno o altro materiale idoneo ove rimane per almeno 1 giorno ad una adeguata pressatura manuale o meccanica. Sulla base delle favelle viene posizionata una matrice recante il marchio di origine che sarà impressionato sulla forma.
È consentita un’ulteriore salatura delle forme a secco per dare colore e consistenza alla crosta del formaggio.
La maturazione avviene in grotte naturali ed umide o comunque in locali che ripetano dette condizioni ambientali per un periodo minimo di 60 giorni su assi di legno o altro materiale idoneo.
Il formaggio Castelmagno prodotto e stagionato può portare la menzione aggiuntiva “di Alpeggio” se: il latte proviene esclusivamente da vacche, capre e pecore mantenute al pascolo in alpeggio per il periodo compreso tra maggio e ottobre e la caseificazione è effettuata in malga.