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“Gli animali si nutrono; l’uomo mangia; solo l’uomo di spirito sa mangiare…” così scriveva, quasi duecento anni fa, il gastronomo filosofo Anthelme BrillatSavarin, nel suo celebre trattato “Fisiologia del Gusto”. Oggi più che mai, il “saper mangiare” è nella capacità di superare gli stereotipi e non cedere alla superficialità, per andare alle radici profonde del gusto e apprezzarne ogni sfumatura .
Gli inglesi lo chiamano flavour, per noi è l’aroma: quel complesso di sensazioni, sapori e odori, che ci lascia ogni volta piacevolmente sorpresi all’assaggio di una ricetta ben riuscita. Ma cosa si nasconde dietro queste sensazioni? Quali meccanismi, più o meno razionali, ci fanno accettare o rifiutare un cibo? E ancora, perché alcuni sapori che non ci piacciono sono apprezzati da altre persone, mentre amiamo alimenti che altri detestano?
Fermarsi a riflettere sui propri gusti apre una serie infinita di dubbi, domande, curiosità, alle quali non è facile trovare risposta. Provarci, significa indagare gli aspetti che riguardano la fisiologia dei sensi e considerare i fattori psicologici, sociali e culturali che li condizionano, in un percorso di scoperta comunque denso di interesse.
Quando mangiamo attiviamo tutti i nostri sensi: in un tempo minimo essi ci danno molte informazioni sul cibo.Queste informazioni sono importanti perché ci permettono di giudicare la qualità, anche igienica e nutritiva, di quello che mangiamo. Purtroppo però, i nostri gusti sono influenzati da tante cose che con la salute hanno poco a che vedere…
Quattro sapori, mille sensazioni
L’impressione che abbiamo di un cibo, nel momento in cui lo assaggiamo, è determinata da un insieme di stimoli che coinvolgono sensi diversi. Si pensa che tutti i sapori percepibili derivino dalla combinazione di quattro qualità fondamentali: dolce, salato, amaro e acido (alcuni autori sostengono che il sapore del glutammato, impiegato come additivo alimentare, costituisca una quinta qualità gustativa a se stante). Le papille sulla lingua rilevano la sensazione di sapore e la trasmettono al cervello; in contemporanea, le particelle volatili chesi liberano dal cibo vanno a stimolare le cellule olfattive e la sensazione globale, legata al sapore e all’odore, costituisce l’aroma.” Olfatto e gusto sono i cosiddetti “sensi chimici”, perché le sensazioni che producono sono legate direttamente alla composizione degli alimenti; anche gli altri sensi, però, giocano un ruolo importante nell’approccio con il cibo. Anche l’occhio vuole la sua parte: il colore, la forma e l’aspetto di un alimento possono influenzare la nostra percezione gustativa, come pure il rumore (pensiamo allo “scrocchiare” delle patatine) e il tatto (basti osservare come lo stesso caffè ci sembri più amaro se lo gustiamo freddo anziché caldo)”.
Un senso “antico”
Tra i sensi chimici, si attribuisce generalmente una grande importanza al sapore e si tende a sottovalutare quella dell’olfatto. In realtà, la ricchezza e la complessità delle sensazioni che vengono dal cibo sono legate soprattutto alla stimolazione olfattiva: a differenza della lingua, che è capace di distinguere solo pochi caratteri chimici, il naso riconosce centinaia di sostanze diverse, e lo fa con una sensibilità molto maggiore (è esperienza comune che quando si è raffreddati non si apprezza nessun gusto). Ma c’è un altro aspetto che merita di essere sottolineato: l’olfatto è direttamente collegato alla parte del cervello più vecchia, nella quale hanno sede i centri della memoria e i circuiti che controllano le emozioni. Per questo è così facile associare un odore a un sentimento, a un ricordo, alla memoria di una situazione. D’altra parte, proprio perché raggiunge la parte più “emotiva” e meno analitica, del cervello, ci riesce più difficile parlare degli odori con linguaggio tecnico e descriverli con precisione. Non abbiamo difficoltà a indicare un colore con gli attributi che gli sono propri (rosso, blu, verde…), oppure a individuare precisamente le caratteristiche di un sapore (salato, amaro, dolce…), ma se dobbiamo descrivere un odore ricorriamo inevitabilmente ad associazioni, più poetiche certo, ma meno precise: ricorda la fragola, sente di erba appena tagliata, richiama la nocciola…
I sensi ingannati
Apprezzare e rispettare abitudini e gusti diversi dai nostri, non vuol dire però che dobbiamo mangiare tutto ciò che ci viene proposto senza un minimo di senso critico.
Il mercato è pieno di prodotti dei quali potremmo fare tranquillamente a meno e la maggior parte dei “trucchi” attuati per convincerci a comprare ciò che magari è inutile (se non dannoso) solleticano proprio i nostri sensi. Pensiamo , per esempio, al grande utilizzo che si fa dei coloranti per rendere più attraenti i cibi, o degli aromi per modificare il gusto di molti prodotti. D’altra parte un po’ di colpa è anche nostra: lo sciroppo di menta al naturale è trasparente, perché ci ostiniamo a volerlo colorato di verde? Oppure, ci sembra logico che un’aranciata con il 12% di succo d’arancia (praticamente un bicchiere di succo diluito in nove bicchieri d’acqua) possa avere un sapore intenso e un bel colore rosso? Eppure è così che la vogliamo…
Tra piacere e bisogno
Odori, sentimenti, emozioni… erano queste le associazioni più interessanti per Brillat Savarin, ma, al di là del piacere che produce, la funzione primaria del cibo rimane comunque quella di nutrirci. A questo proposito, viene da chiedersi se il piacere e il bisogno siano in qualche modo collegati: esiste una relazione tra il gusto e l’esigenza di salute dell’organismo? Esiste certamente: è dimostrato che un cibo ci può risultare più o meno gradito e piacevole, secondo i nostri bisogni nutritivi del momento. Addirittura, nel breve arco di un pasto, lo stesso alimento può essere avvertito come molto gradevole, se proposto all’inizio, e decisamente sgradevole se presentato alla fine, una volta raggiunta la sazietà. In modo simile, si è osservato che in certe situazioni siamo capaci di attivare una fame specifica: gli animali costretti a una dieta priva di un particolare nutriente, una volta liberi di scegliere hanno la capacità di individuare il cibo che ne è più ricco”. Insomma, a determinare i nostri gusti sarebbe anche una specie di saggezza istintiva dell’organismo, che cerca di far coincidere, nei limiti del possibile, il buono con il sano.
Difendersi col sapore
Alla luce di questa istintiva “saggezza”, anche la sensibilità ai quattro sapori fondamentali assume un significato logico e preciso. Semplificando un po’ il discorso, si può pensare che, in un regime alimentare normale, il sapore dolce sia dovuto soprattutto alla presenza di zucchero, il sapore acido ad alcune sostanze aspre (per esempio l’acido citrico contenuto nel limone o l’acido acetico presente nell’aceto), il sapore salato al cloruro di sodio (il normale sale da cucina) e il sapore amaro a particolari sostanze chiamate “alcaloidi”, composti velenosi che le piante utilizzano per dissuadere gli animali dal mangiarle. Accettando questa semplificazione, è plausibile che la capacità di riconoscere i quattro sapori fondamentali sia maturata nell’uomo come esigenza di distinguere gli alimenti più adatti alla sua alimentazione, per esempio quelli tipicamente energetici (il dolce), da quelli potenzialmente pericolosi (l’amaro). Quest’ipotesi si accorderebbe anche con le osservazioni di importanti studiosi, come Matty Chiva, e Jacob Steiner che, analizzando la mimica dei lattanti in risposta al cibo, hanno evidenziato l’esistenza del cosiddetto riflesso gustofacciale, una reazione istintiva che accomuna tutti i neonati, di qualsiasi etnia: quando ai piccoli viene fatta succhiare una soluzione di acqua e zucchero reagiscono con una smorfia di piacere, viceversa, soluzioni acide o amare provocano smorfie di repulsione. Si tratterebbe anche in questo caso di una disponibilità innata verso le sostanze più nutrienti e di un’altrettanto innata repulsione per quelle potenzialmente pericolose.
ringraziamo buonalombardia