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Il titolo di divinità si conquista a tavola.Lo dice chiaramente Omero che ci presenta gli abitanti dell’Olimpo come insaziabili gourmet a banchetto dall’alba al tramonto, alle prese con un interminabile menu degustazione a base di materie prime super esclusive. Addirittura indescrivibili. Come nettare e ambrosia, distillate dal corno di Amaltea, la capra che allattò Zeus. L’uomo che avesse mangiato queste delicatessen soprannaturali non avrebbe conosciuto né vecchiaia né morte. Proprio per questo l’astuto Ulisse, che vuole a tutti i costi godersi la sua pensione accanto a Penelope, quando a cena la seduttiva Calipso gli offre cibi da vita eterna, lui declina e ordina piatti fuori carta. Come pane, vino e grigliate. Perché sa bene che altrimenti a tavola non si invecchia. Anche se i santi numi non disdegnano affatto di mescolarsi ai comuni mortali e di assaggiare specialità come focacce di grano, costolette di agnello, caciotte di capra, miele delle api iblee, annaffiando il tutto con vino di Samo, o con un corposissimo rosso di Sorrento passato in otre per venticinque anni. A dire il vero anche il cibo umano è un grazioso dono degli dei. A cominciare dagli ingredienti base della nostra dieta mediterranea, la famosa triade della longevità: grano, olio, vino. Il primo è un regalo di Cerere (da cui la parola cereale), l’extravergine è una magia di Atena, fondatrice della città simbolo della democrazia, mentre l’inebriante Dioniso porta fra gli uomini il fermento di vino. Come dire che la dieta mediterranea nasce molto in alto. Il mito non fa altro che raccontare con parole alate quel che mangiamo ancora oggi. Attribuendo così alle nostre tipicità un marchio più indiscutibile di un dop, una denominazione di origine consacrata. Non a caso grano, olio e vino, insieme alla mela, all’agnello, all’alloro, al melograno conservano uno straordinario potere simbolico. Dal pomo di Paride alla Apple di Steve Jobs, passando per Biancaneve e Newton il passo è breve. Senza dire del capro espiatorio e dell’agnus dei. E l’alloro degli antichi poeti e dei moderni laureati, per noi indispensabile complemento di animelle, fegatini e interiora, veniva masticato e inalato dalla sacerdotessa di Delfi. Nonché da tutti quegli indovini che leggevano il futuro, guarda caso, proprio nelle viscere degli animali. Certe volte il cibo fa davvero stravedere. Mentre il grano e il vino sono carne e sangue della divinità. Dagli antichi numi delle messi come Adone, il figlio di Venere che muore e risorge a primavera, a Dioniso il signore della vite e della vita, il cui nome significa colui che nasce due volte. Fino al dio cristiano che diventa pane e vino nel mistero dell’ultima cena. E, dulcis in fundo, il dessert degli dei era a base di miele, mandorle, sesamo, ricotta e fiori d’arancio. A ciascuno il suo stampino. Mezzelune golose per Artemide, lire armoniose per Apollo e tori focosi per Zeus. Dalla pasticceria del mito deriva dunque la nostra mitica pasticceria. Dalla cassata siciliana alle fave dei morti venete, dai suspiri sardi alla pastiera napoletana, dai croccanti toscani ai torroni piemontesi. Con buona pace degli immortali, gli allievi sono diventati più divini dei maestri.
Autore: Marino Niola fonte La Repubblica