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La cucina calabra affonda le sue radici nella gastronomia dei greci e dei latini. Verdure – melanzane, cipolle e peperoncino su tutte le pietanze – e la carne di maiale sono i prodotti caratteristici di questa regione.
Le verdure sono da sempre protagoniste dell’alimentazione in Calabria: insieme alla pasta e a tutti i derivati del maiale costituiscono la base della cucina locale. A questi tre ingredienti fondamentali si aggiunge, sulla costa, il pesce. La regina degli ortaggi è la melanzana. È curioso che la melanzana, fondamentale nella cucina meridionale, non abbia avuto, all’inizio, fortuna nell’Italia settentrionale, dove si pensava addirittura che fosse nociva. Il nome deriverebbe da malum insanum, in quanto predisporrebbe alla pazzia. Fra i molti modi di cucinare le melanzane (in agrodolce, in “scapece”, ripiene, fritte con pomodori e uova ecc.) ne esiste uno che le rende irriconoscibili sul piatto: tagliate a metà, scottate in acqua bollente, ricomposte con uno strato intermedio di pecorino, pepe, basilico; infarinate, passate nell’uovo sbattuto, infarinate una seconda volta, avvolte nel pangrattato e finalmente fritte.
Altri ortaggi quasi onnipresenti sono i pomodori, i peperoni, le cipolle dalla caratteristica buccia rosso violacea. Comuni sono le verdure sott’olio, insaporite con abbondante peperoncino, che si mangiano con il pane locale e con le focacce dette “pitte”. Le “pitte” accompagnano anche i pomodori, le sarde, le cipolle, la ricotta, la salsiccia, il caciocavallo.
La pasta, immancabile sulla tavola e tradizionalmente fatta in casa, ha forme diverse: ci sono i “fusilli”, che si preparano avvolgendo la pasta su un ferro, detto “firriettu”; i “maccarunni”, gli “sciliatelli”, gli “schiaffettoni”, i “filiateddi”, i “canneroni”, i “ricci di donna” di semola o farina di grano duro; le “sagne” sono una pasta che ha un ripieno di carciofi, carne di maiale, funghi, formaggio. Il condimento è un intingolo di pomodoro, prosciutto, aglio, olio, peperoncino. Fra le minestre la più esemplare è il “maccu di fave”, un passato cotto senza condimento e insaporito con olio crudo, pecorino grattugiato e molto pepe.
La carne bovina è quasi assente dalla tavola calabrese, ma “lo puorco” ne è il re. Bolliti nella caldaia di rame, i piedini, le cotenne, la testa, la pancetta e le altre parti grasse danno lo strutto liberando i residui carnosi, detti “frisuli”, che vengono serviti insieme a verdure sottaceto. Dal maiale si ottengono capocolli, prosciutti, salsicce, la soppressata che talvolta è “lagrimusa”, cioè stillante grasso, e la “’ndugghia”, una salsiccia a base di lingua, trippa e altra carne, che entra nella cosiddetta “minestra maritata”, insaporita con erbe domestiche e verdure selvatiche. Il maiale e la pasta si incontrano nel “morseddu”, una “pitta” che è la specialità di Catanzaro: tagliata in due, la si riempie di un intingolo succoso a base di interiora di suino con pomodoro e peperoncino. A Cosenza e a Reggio il “morseddu” cambia il nome in “suffritto”, ma non la sostanza.
Chi ama cercare e mangiare i funghi deve almeno una volta fare una vacanza nella Sila che, quasi tutto l’anno, offre gustose varietà: a maggio le “spugnole” (qui chiamate “marroccu”), cotte in spezzatino con la carne di capra o nel ragù; i “sillu” o porcini, che accompagnano i timballi di riso e la carne in sugo. Sulla fine dell’estate i “vavusi”, da soffriggere con i peperoni, e i “galluzzi”, ottimi anche sott’olio. Il più tipico del funghi silani è il Lactarius deliciosus, detto “rossito” dal colore rosato, che si arrostisce sulla brace con aglio e pancetta, si conserva e si utilizza in vari modi.
Altri prodotti da gustare in Sila sono i salumi, le trote, e numerosi formaggi – pecorino, caciocavallo, provola, “butirro” (caciocavallo col cuore di burro), “piticella” (fuori mozzarelle e dentro burro), ricotta.
Fra le ricette di pesce la più originale è la “mestica”, o “caviale dei poveri”, fatta con acciughe neonate messe sott’olio e insaporite con peperoncino.