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Il pane di Maiolo, prodotto con le caratteristiche farine locali e con metodi antichi, senza nessuna produzione industriale e nessun laboratorio artigianale, è un elemento basilare dell’identità culturale maiolese. Suoi ingredienti segreti sono acqua, farina, “pasta madre”, ovvero il pezzo di impasto della precedente panificazione lasciato fermentare per tutta la notte, un modus operandi parsimonioso e un rapporto con il forno quasi fraterno, fatto di accorgimenti e trucchi del mestiere.
In occasione dell’edizione 2005 della Festa del Pane, l’ultima domenica di giugno, si è gustato un prodotto fatto esclusivamente con farina locale, proveniente dalla coltivazione di una antica varietà di grano. Si tratta del “gentilrosso”, di cui si hanno testimonianze fin dalla prima metà del secolo scorso. È un grano tenero che fu molto utilizzato nell’Italia centrale per la produzione di farina, caratterizzato da una spiga giallo-rossa, da notevoli dimensioni, (un’altezza di 1,65 metri), dalla resistenza alle malattie (ruggine in primis), con buone doti di rusticità e di adattabilità. Il nostro “gentilrosso” è seminato presso una azienda agricola locale, che ha provveduto anche allo stoccaggio del prodotto, ed è lavorato presso un mulino a pietra locale per essere gustato in occasione della Festa del Pane.
Per fare il pane, è necessario qualche ora prima lavorare con acqua calda e un po’ di farina la madre, che va lasciata riposare finché non lievita. Si prepara quindi l’impasto spianando la farina e lasciando un buco per la pasta madre. Quando l’impasto si ritiene pronto, si taglia in filoni da circa un chilo. Il pane viene successivamente avvolto in teli, tradizionalmente tessuti nel telaio a mano, ricoperto di lana e lasciato lievitare per un tempo che varia da 1 ora e mezzo in estate alle 3 ore in inverno.
Nel frattempo ci si occupa del forno, che deve essere scaldato. Normalmente, viene alimentato con fasci di ginestra e di vite. Passata circa un’ora, durante la quale il pane ha avuto tutto il tempo di fermentare, lo si inforna. Prima però si osserva un segreto locale, ossia la pratica di una piccola incisione a croce, capace di influire sull’aspetto e sulla cottura, e si controlla la temperatura con un bastone di legno, che viene fatto strisciare sui lati della bocca del forno: se fa scintille, è pronto. Una volta dentro, il pane viene controllato ogni 20 minuti, dopo 40 minuti viene mosso e viene tolto intorno ai 70 minuti di cottura. A questo punto si fanno riposare i filoni, adagiati su un lato, in piedi, per favorirne l’asciugatura. Un accorgimento adottato durante la cottura è quello di aggiungere un ciuffetto d’erba per smorzare la temperatura eccessiva.
Tra le tradizioni legate alla produzione del pane di Maiolo si conta anche una frase pronunciata dalle donne mentre preparano il pane: «L’è stet ‘na bela fadiga, mo l’è bel», (E’ stata una bella fatica, ma è bello).
Il Museo del Pane è uno speciale museo diffuso, costituito dal territorio di Maiolo, definito dall’Unione Europea zona “BioItaly” per la sua valenza
floristica, dai suoi campi di grano e,soprattutto, dai suoi numerosi forni, più di cinquanta, utilizzati per la cottura del caratteristico pane locale e delle tipicità ad esso collegate. Questi forni, sparsi in maniera uniforme,vengono considerati una preziosa testimonianza di civiltà e un vero e proprio bene culturale per il loro fondamentale ruolo di collante dell’intera borgata.
Oggi, purtroppo, non tutti risultano attivi. Alcuni, tuttavia, sono ancora in uso e ritornano perfettamente funzionanti in coincidenza della Festa del Pane.Le strutture risalgono ai primi decenni del 1800, come testimoniano le pietre con le quali sono costruite, e sono di proprietà della stessa famiglia di agricoltori, pastori e boscaioli da quattro generazioni. Sono costituite dalla camera di cottura, in mattone, mentre il manufatto esterno è fatto di materiale lapideo come il calcare marnoso. Generalmente i forni sono addossati ad una dependance della casa rurale o alla casa stessa, ma possono anche essere completamente isolati, lontani da qualsiasi struttura.
Una delle loro principali caratteristiche, è che servivano più nuclei familiari, strettamente imparentati tra loro e riuniti in un agglomerato al quale hanno tramandato addirittura il nome. Il forno è utilizzano da famiglie che vivono nello stesso nucleo rurale e che lo considerano un insostituibile strumento di cottura. All’interno di ciascuna, sono pochi i soggetti capaci di utilizzarlo e che ne conoscono i segreti e le procedure migliori. Ne consegue che il pane prodotto non può essere destinato alla vendita al grande pubblico, ma può soddisfare esclusivamente la domanda interna.
L’attività dei forni aveva in passato importanti implicazioni sociali. La panificazione, infatti, rappresentava un momento di aggregazione insostituibile, un’occasione d’incontro tra i vari nuclei familiari che si servivano nello stesso forno. Ma erano soprattutto i bambini a godere di questo momento, plasmando in forme particolari i filoni. Venivano addirittura prodotti dei biscottini che servivano da paghetta per convincere i bambini a partire per il pascolo.
Dal pane inoltre, dipendeva largamente il ciclo giornaliero dei lavoratori agricoli, scandito da rituali legati all’alimentazione e in maniera particolare al pane. Si partiva al mattino all’alba per campi e pascoli con una sacca piena di formaggio, vino e pane, che veniva consumata intorno alle 7.30. A mezzogiorno circa, una donna di casa provvedeva a portare il pranzo sul campo, riponendo il pane in appositi canestri. Anche la cena, almeno durante la bella stagione, veniva effettuata nei campi ed era a base di pane mentre durante le altre stagioni, era consumata in casa e prevedeva un menù più vario.
“Sopra sassosa ripida pendice, in sul confin del feretrano suolo che fa dell’Appennin quasi appendice, fu già un vecchio castel detto Maiolo”.
Oggi il paese è posto sulla media valle del Fiume Marecchia, che comprende anche il versante sinistro del torrente Rio Maggio. Maiolo si configura come un comune montano sparso (m. 600 s.l.m.), che ha preso il nome dell’omonimo vicino borgo, distrutto, secondo una leggenda avvolta in un alone di magia, da una frana rovinosa tra il 29 e il 30 maggio 1700 che intriga tuttora i geologici e gli storici.
Il paese conserva le sue borgate, le sue vecchie case contadine, le comunelle, le piazzette e non si è lasciato contagiare dalla edilizia selvaggia e condominiale. La bellezza sfolgorante dei tramonti, lo sguardo che spazia dal Monte Fumaiolo, all’Alpe della Luna, al Monte Carpegna, ai Torrioni di San Leo, alle Torri di San Marino sino al mare domina tutta la Val Marecchia e fa di Maiolo un punto di osservazione unico del territorio marchigiano e del Montefeltro.
ringraziamo la ProLoco di Maiolo