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Una leggenda racconta che quando si abbatté su Gaeta una spaventosa carestia, nemmeno i figli del Re ebbero più di che sfamarsi. Una massaia, utilizzando i residui delle sue provviste, li avvolse alla rinfusa in una sfoglia di pasta improvvisata, che mise a cuocere sulla brace. Ne risultò qualcosa che si prestava ad essere divisa in parti uguali e a nascondere i singoli sapori. Nell’800 l’aristocrazia cominciò ad apprezzare la tiella con i calamaretti, mentre sarde, alici, scarola e baccalà erano i ripieni più diffusi tra marinai e contadini: la sua preparazione permetteva di avere un pasto completo che si conservasse anche per alcuni giorni. Caduto il regno Borbonico, la tiella divenne pasto principale per tutti gli emigranti che lasciavano Gaeta in cerca di lavoro. Ridimensionata nel consumo durante il boom economico degli anni ’60, in quanto associata al ricordo della miseria e dell’arretratezza, negli ultimi anni è ritornata alla ribalta per la sua riconosciuta bontà.
Si tratta di una focaccia composta di due sottili strati circolari di pasta, sovrapposti e chiusi lungo i bordi per compressione, ripieni di prodotti di terra e/o di mare, rigorosamente autoctoni: alici e/o sarde, polpo, calamari e verdure; ricotta o formaggi come la marzolina e verdure; pomodoro e cipolla; scarola e baccalà; altro ingrediente tradizionalmente utilizzato è l’oliva di Gaeta. Una buona Tiella è umida nel ripieno, morbida e non inzuppata nella pasta esterna. Quest’ultima deve, invece, essere sottile e ben cotta anche nella sfoglia inferiore. La cottura avviene al forno per 45 minuti. Altra nota distintiva della tiella è la sua forma, consolidata da secoli di tradizione, simile ad una torta con i bordi (in dialetto affriciegl), sapientemente manipolati, fino ad ottenere un’artistica cornice circolare.
La preparazione della Tiella avviene presso panifici, rosticcerie, tiellerie, locali e cucine domestiche.
fonte percorsigastronomici.it