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Nel dialetto il termine bigolo significa cavicchio, paletto, ed è spesso usato come metafora sessuale e, conseguentemente, come epiteto offensivo rivolto a persone poco sveglie.
In cucina, i bigoli sono una sorta di grossi spaghetti fatti in casa con pasta all’uovo lavorata al torchio, tipici della cucina mantovana, bresciana e veneta.
Erano in passato un piatto tra i più apprezzati, tanto che andare a bigoli è locuzione entrata nell’uso per andare a pranzo.
La cucina tradizionale lombarda accoglie pochissime formulazioni con pesce di mare fresco, per la difficoltà di approvvigionamento della materia prima, in passato molto avvertita nelle zone più interne o lontane dai fiumi navigabili. Salvo le anguille che, pur essendo pesci d’acqua salata risalgono la corrente dei fiumi, i piatti con pesce di mare si contano sulle dita delle mani e provengono quasi tutti dalla tradizione borghese ottocentesca: il merluzzo o le aringhe con la salsa bianca, la frittura di sardelle, la sogliola in insalata o il risotto alla certosina, in cui taluni fanno entrare la sogliola al posto del persico. Era più frequente il consumo del pesce di mare conservato sotto sale.
I venditori ambulanti, di pesce salato, provenienti soprattutto dalle valli sud-occidentali del Piemonte, raggiungevano anche i paesi più isolati dei rilievi prealpini. Il merluzzo salato (o baccalà), il merluzzo essiccato senza sale (stoccafisso), le sardelle, le alici e le aringhe erano, tra i pesci in barile, i più diffusi, tanto da generare il modello locale degli agoni di lago seccati e salati (missoltini). Proverbiale, nella descrizione di un panorama di miseria di fame, era la polenta e tucalà, la fetta di polenta strofinata sull’aringa posta al centro della tavola. Col baccalà si preparava lo sformato alla certosina, il baccalà in umido o quello con le verze. Le aringhe si arrostivano sulla brace, una volta rinvenute in acqua tiepida; le sarde e le alici entravano a insaporire molti piatti, alla stregua degli attuali dadi di glutammato.
Preparazione per 4 porzioni:
BIGOLI: 400 g
SARDELLE : 200 g
OLIO DI OLIVA: 50 g
AGLIO: uno spicchio
SALE: q. b.
Pulire i pesci dal sale, lavarli accuratamente e asciugarli;
mettere sul fuoco la pentola con abbondante acqua salata e non appena bolle buttarvi la pasta;
mentre la pasta cuoce, mettere sul fuoco un tegame con l’olio e lo spicchio d’aglio leggermente schiacciato e far rosolare a fiamma dolcissima;
togliere l’aglio, porre nel tegame le sardelle, spappolandole con la forchetta e portarle a cottura senza mai far friggere l’olio;
scolare i bigoli al dente e condirli con il sugo.
Impastare 600 g di farina di grano saraceno (o di farina integrale) con due uova intere, 50 g di burro ammorbidito, 200 ml di latte e un pizzico di sale;
lavorare l’impasto finché non sia ben liscio e omogeneo e farlo riposare per almeno mezzora;
passare l’impasto al torchio e disporre i bigoli, ben allargati, su un vassoio ricoperto con una salvietta infarinata, sulla quale dovranno asciugarsi per 24 ore.
Note: bigoli fatti in casa
Oggi i bigoli si possono acquistare già pronti nelle zone che ne vantano la tradizione.
Chi avesse a disposizione un torchio a piastra con fori larghi e volesse cimentarsi a farli in casa, può utilizzare le seguenti dosi, avendo l’avvertenza di prepararli il giorno precedente alla consumazione.
Varianti:
La pasta può anche essere di farina bianca.
Alcune formulazioni utilizzano quattro uova ed escludono altri liquidi leganti. Alle sardelle si possono sostituire acciughe, sia fresche che dissalate.
In quest’ultimo caso, invece dell’aglio, si usa un soffritto di cipolla.