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La storia del Melone Mantovano è antichissima e diffusa in tutta la regione.
Nella zona di Viadana
Il melone è senz’altro “principe” nel Viadanese, al punto da dare il nome a una varietà assai apprezzata, di colore giallo, con striature verdi e forma tondo-ovale. Qui compaiono le documentazioni storiche più antiche, risalenti alla fine del Quattrocento, l’epoca della scoperta delle Americhe.
Nell’Archivio Gonzaga sono conservati scritti che – riportando notizie particolareggiate sul melone, con descrizioni dettagliate dell’apprezzamento da parte dei Signori destinatari – dimostrano l’importanza della coltivazione di tale frutto in questa zona.
Ad esempio, in una lettera datata 20 agosto 1529 (Arch. Gonzaga, b. 2513) si legge che: “…la quantità de li meloni che vene ogni matina in su la piaza è una cossa granda, et molti belli et boni….Il 3 agosto 1548 (Arch. Gonzaga b. 2544), il Podestà Felice Fiera spedisce quattro bellissimi meloni al Duca Francesco Gonzaga e li fa accompagnare da alcune raccomandazioni scritte al “signor Castelano et Secretario di Sua Eccellentia”. Scrive dunque il Podestà: “Molto magnifico signor mio observandissimo. Mando quatro meloni ch’io credo sian boni, ma sono bellissimi. La supplico farne aver dono a madama illustrissima et al cardinale et a sua eccelentia perché non ancora parse qua de più belli, et a vostra signoria baso le mani et mi raccomando.
Da Viadana alli 3 di Agosto 1548. Di vostra signoria Parente et servitore Felice Fiera”.Su alcune maioliche della metà del XVII secolo esposte nel Museo civico “A.Parazzi” di Viadana sono raffigurati meloni che fanno da sfondo ad animali e ad altre immagini; nello stesso museo c’è un olio su tela risalente al sec. XVII che raffigura, con altri frutti, anche il melone; a Sabbioneta, nel Palazzo Giardino, vi sono affreschi rappresentanti scene tratte dal mondo della natura dove, con fiori e uccelli, fanno bella mostra di sé anche alcuni stupendi meloni.È il viadanese a ospitare, grazie a una tradizione secolare di orti capillarmente diffusi, anche le prime forme di associazionismo fra i produttori: ne è un esempio la Cooperativa Agricola di Bellaguarda che nasce in questa forma nel lontano 1956.
Viadana è poi anche il punto di irraggiamento di questa coltura nel cremonese. La coltivazione di meloni a Casteldidone, nel cremonese, inizia infatti nel 1958, quando una famiglia di agricoltori proveniente da Viadana introduce per la prima volta questa coltura in una zona che sino ad allora non la praticava. I risultati sono estremamente positivi, tanto che, nel giro di qualche anno, anche altri agricoltori locali iniziarono a coltivare meloni. Un numero di coltivatori che è cresciuto nel tempo, sino ad assestarsi in quello attuale.Sempre per restare a Viadana – ma per avvicinarci un po’ di più ai nostri giorni – una data importante per la produzione del melone é l’11 undici giugno 1966, quando (precisamente alle ore ventidue) viene ufficialmente costituito il “Consorzio del Melone Tipico Viadanese”. La Gazzetta di Mantova, alcuni giorni dopo, riporta un ampio resoconto dell’evento, che vede anche la premiazione degli agricoltori associati di Bellaguarda, dell’Unione agricoltori Battelle di Salina e degli agricoltori associati di Casaletto, della Cooperativa di Salina.
Nel presentare la Seconda Edizione della “Sagra del melone, prosciutto e…lambrusco” (altro grande prodotto del nostro territorio) sempre la Gazzetta di Mantova (5 luglio 1967), oltre a illustrare nel dettaglio il programma degli eventi, mette in grande evidenza l’iniziativa, nuova nel suo genere, di un convegno sul tema “Difesa della produzione del melone e relativi problemi di lotta antiparassitaria e di collocamento sui mercati italiani ed esteri”.Ancora il quotidiano locale, in un articolo del 30 ottobre 1969 che descrive i risultati deludenti dell’annata, analizza e approfondisce le difficoltà emerse, con particolare riguardo all’illecita attività degli “stufatori”, coltivatori di pochi scrupoli che fanno maturare i meloni artificialmente, per poterli vendere “in modo assai anticipato” e a prezzi troppo bassi.
Nella zona di Sermide
Nel Duemila, i restauri della chiesa di Sermide hanno portato alla luce, sull’arco che separa l’abside dal presbiterio, alcune decorazioni in cui compaiono i prodotti ortofrutticoli locali, tra i quali si distinguono in bella evidenza i meloni, frammisti a cipolle, zucche (e qui la citazione dei tortelli di zucca, altra perla del nostro territorio, è d’obbligo) uva e fichi. È questa la testimonianza – senz’altro attendibile – della presenza in zona del nostro frutto sin da tempi assai remoti. Infatti la costruzione della chiesa dedicata alla Santa Croce (e probabilmente voluta dai monaci Benedettini) risale ai secoli XI e XII d.C. Di certo essa esisteva nel 1479, perché un documento conservato nell’Archivio Gonzaga di Mantova riporta il resoconto della visita pastorale compiuta dal vescovo della città, il cardinale Francesco Gonzaga, proprio a Sermide, per consacrare la chiesa e…i suoi meloni. Altra testimonianza è quella contenuta nella lettera datata 7 agosto 1480, inviata dalla podestarìa di Sermate al signore Federico I Gonzaga: nell’inviare “30 frutti di mellone” si sconsiglia vivamente di “mandare a prendere melloni di Ferrara”. I nostri sono più buoni, sembra di sentire dire: dove il campanilismo – sostenuto dal gusto – gioca qui la sua partita.
Nella zona di Rodigo
La terza zona in cui il melone fa “da padrone” é quella di Rodigo, un paese a circa quindici chilometri dal capoluogo. Qui, in brevissimo tempo (e cioè nell’arco di soli cinquant’anni), grazie alla situazione pedologica e climatica, nonché alla vivace iniziativa imprenditoriale di alcune aziende (la prima a essere costituita fu quella dei fratelli Negrin, nel 1950), la produzione ha guadagnato una sempre maggiore quantità di superficie coltivata.
A Mantova
Ma anche Mantova città è coinvolta dal melone. Tracce documentali risalenti al 1579 testimoniano la presenza di un oratorio dedicato a “Santa Maria del melone”, nella centralissima via Cavour, che si trova a pochi passi dalla famosa piazza Sordello. Il donatore dell’oratorio fu San Carlo Borromeo, che lo trasmise in tale data alla Confraternita di Santa Croce, a testimonianza di una coltura e di una cultura profondamente radicate in tutto il territorio. Nel 1808, però, il luogo cessa di essere la casa della “Protettrice del melone” e, malinconicamente, cambia destinazione per essere trasformato in una stalla. D’altra parte, però, la protezione aveva ben funzionato: il melone era già diventatop il frutto principe di tutto il mantovano.Inoltre, Mantova, in tempi più recenti, viene segnalata anche in quanto ha favorito lo sviluppo delle tecniche di innesto erbaceo che iniziano a diffondersi in Italia (al Nord in particolare) verso la fine degli anni ’70, grazie alle sperimentazioni condotte del Centro Ricerche del polo chimico (ex Montedison) della città
fonte consorziomelonemantovano