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La mostarda, una delle preparazioni più raffinate della cucina mantovana viene consumata tal quale, spesso in abbinamento con formaggio grana, o impiegata quale materia prima per la realizzazione dei tortelli di zucca. Uno dei caratteri che contribuisce a distinguere la mostarda mantovana da altri prodotti simili è il fatto che di volta in volta per la sua preparazione viene utilizzata un solo tipo di frutta, tradizionalmente identificabile nelle mele, nelle pere o nelle mele cotogne. Mantenendo questa caratteristica, negli ultimi anni alle tipologie di mostarde più consuete se ne sono affiancate altre, ottenute a partire da altri frutti, quali ad esempio prugne e fichi, o anche da orticole, quali anguria, cipolla, pomodoro e melone.
La mostarda mantovana può essere definita come una confettura speziata o, più precisamente, senapata. Molto probabilmente, il termine mostarda deriva proprio dall’impiego caratteristico della senape che, se nella nostra lingua ha derivato la propria denominazione da quella latina, Sinapis, in francese è detta moutarde ed in inglese mustard. I termini francese ed inglese derivano a loro volta dal latino mustum ardens, con il quale già i romani indicavano una preparazione oltremodo piccante, ardens appunto, realizzata aggiungendo al mosto ancora in fermentazione o al vino novello, detti mustum, semi di senape pestati. Se nelle altre lingue, quindi, dal mustum ardens latino è derivato un termine che ne indica solo l’ingrediente più caratterizzante (in francese non esiste un vocabolo per tradurre il nostro “mostarda” che, viene preso pari pari o tradotto con “fruits confits à la moutarde”, vale a dire, letteralmente, “frutta confettata alla senape”), nel nostro paese è scaturito un termine che indica un’intera preparazione. In ogni caso, quale ne sia l’origine etimologica, la mostarda è storicamente legata alla cucina mantovana. Documenti d’archivio ne testimoniano la presenza sulla tavola dei principi e dei signori della Mantova medioevale e rinascimentale.
Non esiste una solo modo per preparare la mostarda mantovana ma, praticamente in ogni casa, pur ripetendosi gli ingredienti, sono tali e tante le varianti che risulta praticamente impossibile darne una trattazione complessivamente esaustiva. Di seguito, comunque, ci riferiremo alle più seguite prassi operative riferite alla preparazione di mostarda di mele o pere o mele cotogne. Nelle nostre cucine, generalmente, viene impiegata frutta di produzione locale, lavorata non più di 4 o 5 giorni dopo la raccolta per impedire che possa avanzare di maturazione. La frutta viene lavata utilizzando acqua corrente potabile e posta ad asciugare su canovacci puliti. Subito dopo inizia la lavorazione, che prevede, nell’ordine, pelatura, picciolatura, detorsolatura ed affettatura. Se ne ricavano fette della forma di una semiluna e di dimensioni comprese fra i 5-7 cm per 2-4 cm.
Così preparate le fette vengono ricoperte di zucchero, in genere almeno 500 grammi di zucchero ogni 1000 di prodotto. Una variante molto praticata è quella di mescolare alla massa anche 2 limoni a fettine con la buccia. La massa viene lasciata a riposo per 24 h. Quindi, si separa il liquido che nel frattempo è stato ceduto dalla frutta e lo si concentra facendolo bollire per alcuni minuti. Indicativamente, al termine di questa operazione il volume del liquido è diminuito di circa il 10%. Il liquido, ancora bollente, viene rigettato sulla massa che riposa per altre 24 h. In questo modo è stato completato un passaggio della concentrazione.
Per alcuni la concentrazione è unica, altri, ed è la norma, la ripetono più volte, fino ad un massimo di cinque. Il sistema più diffuso, tuttavia, prevede 3 successive concentrazioni distanziate di 24 h l’una dall’altra.. Comunque, 24 h dopo l’ultima concentrazione si separa ancora una volta il liquido e lo si porta ad ebollizione: nello stesso, quindi, viene rimessa la massa della frutta e il tutto è fatto bollire a fuoco lento generalmente per non più di 8-10 minuti. Quando la massa si è raffreddata si aggiunge la senape.
Circa le dosi esistono numerose varianti, spesso 6 gocce di senape ogni 1000 grammi di prodotto, che possono essere 7, 8 e crescere, fino ad arrivare a 20. In considerazione della fisiologica diminuzione di isosolfocianato di allile, in pratica il “piccante” della senape, per le preparazioni il cui consumo è differito alla primavera successiva, alcuni crescono la dose di senape del 30 % circa. La senape viene ritualmente acquistata appositamente in farmacia il giorno stesso dell’impiego.
La dose di senape viene aggiunta in un ambiente areato, generalmente con le finestre ben spalancate, per limitare il fastidio recato agli operatori dai gas da essa sprigionati. Per la conservazione vengono utilizzati vasetti di vetro. Inizia, così, la stagionatura che deve essere di almeno 30 giorni. Si è ottenuto un prodotto estremamente stabile dal punto di vista microbiologico. La conservazione, comunque, non supera mai i 12 mesi e la produzione è impostata per coprire questo arco temporale.