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Il piatto più famoso del novarese, la “paniscia”, è anche quello di cui meno si conosce su origine e provenienza. Questo risotto saporito e nutriente, fatto con salame della duja, verdure, fagioli, vino e lardo, infatti sembrerebbe riportarci molto indietro nel tempo. A quando nella pianura novarese il riso non c’era ancora (arrivò nel 1400-1500) e si coltivavano cereali oggi desueti: panico, segale, orzo, avena e miglio. Il termine latino “paniculum”, “migliacccio”, fatto con il miglio, sembrerebbe la radice etimologica del nome. E ciò spiegherebbe il perché dell’esistenza di altri piatti a base di riso (ma più in generali di cereali) che portano nomi simili: c’è la “panissa” di Vercelli, dalla preparazione simile ma senza verdure; la “paniccia” della Val Sesia, con carne di manzo; c’era una “paniccia” sul Lago d’Orta, a base di riso e fagioli. Oltre a ciò, l’origine antica del nome, quasi un termine generico invece di un nome proprio, spiegherebbe la presenza, anche nella stessa area novarese, di tante diverse versioni di questo saporito risotto. Versioni di paese, di famiglia, di tradizione, di creatività. E spiegherebbe anche il ritrovare, qua e là in Italia, di altri piatti, sempre con base cereali e nome simile, ma ben diversi dal risotto novarese: fra gli altri, la “panissa” o “paniccia” di Savona, una focaccia di farina di ceci; e la “paniscia” atesina, una zuppa d’orzo.
C’è invece chi sostiene un’ipotesi più locale, come Daniele Preda, noto cuoco di Ghemme, il quale ha recentemente scritto che il suo nome, come la leggenda vuole, deriva presumibilmente dal fatto che i contadini, ottenuto il sacchetto di riso in cambio delle loro fatiche, non pensarono di arricchire la mensa con costosi prodotti ma cucinarono un piatto che loro conoscevano già utilizzando il cereale pilato, chiamato “paniccio”. Nacque cos’ è la “paniscia”, il cui nome deriva appunto dal riso pilato. Tutta la lunga teoria etimologica si dovrebbe così applicare al termine “paniccio”, che indica il cereale pilato. Rimane comunque curiosa la grande varietà di ricette in loco e il ritrovare di questo etimo un po’ ovunque in Italia.
Ma quale é la ricetta esatta della “paniscia” novarese? Per evitare lotte di campanile, citiamo quella editata dalla Gosetti nel suo classico sulla cucina regionale italiana. La “paniscia” della Gosetti prevede fra gli ingredienti riso, salame della duja (un salame di maiale sotto grasso conservato in una specie di orcio chiamato duja), mortadella di fegato (“fidighina”), cotenne di maiale, lardo, burro, vino rosso novarese, sale e pepe; verdure: fagioli borlotti freschi, una costa di sedano, una carota, mezza verza, alcuni pomodori, una cipolla piccola. Cuocere le verdure e le cotenne a parte, quasi un minestrone; dall’altra preparare il riso con battuto di salame della duja, “fidighina”, cipolla, vino rosso. Aggiungere a mestoli il minestrone durante la cottura. Non mantecare e servire con pepe nero abbondante. Quasi identica la ricetta della “panissa” vercellese con la differenza sostanziale che invece del minestrone con verdure bisogna cuocere a parte i soli fagioli. Un po’ di carne e la presenza di funghi, ed altre sfumature, caratterizzano invece la “paniccia” della Val Sesia, piatto carnevalesco.
Ma al di là delle sfumature e delle varianti locali una cosa è certa: “questo piatto -come conferma lo stesso Preda- era considerato un piatto della festa, perché era ricco ed energetico ed anche perché, a seconda del periodo in cui si preparava e della disponibilità, veniva cotta a parte della cotenna di maiale, tagliata a piccoli cubetti ed aggiunta al riso dopo averlo sfumato con il vino rosso”. Oggi, acciaio, alluminio e coccio vanno benissimo per la cottura lenta ed attenta della “paniscia” una volta il tutto veniva cotto nella “pèyla” padella di rame stagnato a bordo medio-alto, leggermente svasata, con un ferro in posizione centrale che ne facilita l’uso sul camino.
Era una cottura lenta ed attenta per quello che nel novarese da sempre è considerato un piatto, unico, della festa.
fonte storiainrete autore R.Milan