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Il rufiolo si iniziò a preparare nelle contrade e nelle corti rurali di Costeggiola a partire dalla fine dell’Ottocento. A quell’epoca, a causa della povertà, l’impasto del rufiolo veniva fatto con ingredienti di recupero e poi veniva cotto nel brodo.
Successivamente, nel corso del Novecento, è diventato un vero e proprio dolce. Nell’impasto del cappelletto entrano pinoli, mandorle, cedrini e amaretti il tutto bagnato con il rhum. Poi viene fritto nell’olio e ricoperto di zucchero a velo.
Nel secondo dopoguerra, gli abitanti di Costeggiola hanno voluto avviare la tradizione di celebrare il patrono, Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, dedicandogli una sagra che cadesse il 17 gennaio, il giorno del santo.
Il Rufiolo di Costeggiola è una sorta di raviolo dolce disegnato su una mezzaluna di pasta, ha dunque la forma del sole nascente (o come la cresta di un gallo) ed è composto da un ripieno avvolto dalla pasta liscia e sottile. Per il ripieno si utilizzano: amaretti, uva appassita, pane grattugiato, brodo di carne, cedrini, mandorle, zucchero, uova, pinoli, rhum, noce moscata; mentre gli ingredienti della pasta sono: farina, uova, latte, sale.
Il prodotto viene lavorato in tre fasi.
Inizialmente si prepara il ripieno del Rufiolo di Costeggiola, che viene lavorato miscelando i vari ingredienti e lasciato riposare per 24 ore. La seconda fase consiste nel preparare la sfoglia di pasta e stenderla. Infine si deposita la dose di ripieno e quindi si richiude sovrapponendo la pasta tagliandola con l’apposito stampo artigianale a forma di Rufiolo di Costeggiola. A questo punto il dolce viene fritto in abbondante olio di semi.
La conservazione deve avvenire in un luogo fresco ed asciutto e al riparo di fonti luminose, e deve essere consumato preferibilmente entro 30 giorni dalla data di produzione.