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In Italia si contano più di 50 vini passiti tra D.O.C. e D.O.C.G. e quasi altrettanti I.G.T., senza contare gli oltre 100 prodotti in tutto il mondo, spesso in quantità limitate, ma che rappresentano, per molte aziende, il proprio fiore all’occhiello.
La tecnica di produzione dei vini passiti affonda le sue origini agli albori della storia. Già Omero ne apprezzava le peculiarità affermando che erano le “perle dell’antichità”. I popoli più evoluti quali egizi, romani e greci, dovendo trasportarli per lunghe distanze e quindi conservarli per molto tempo, tendevano a far appassire al sole le uve facendo così concentrare gli zuccheri ed ottenendo vini molto alcolici. Principalmente esistono due tecniche di produzione dei vini passiti: naturale e artificiale. In quella naturale, l’arricchimento degli zuccheri da parte delle uve avviene per sovramaturazione sulla pianta, come è il caso dell’Aleatico o quello particolare del Picolit, apprezzato vino friulano, creato con grappoli che hanno subito la cosiddetta “acinellatura”, a causa di aborto floreale spontaneo. In altri casi, invece, il grappolo viene attaccato da una muffa “benigna”, la Botrytis Cinerea, che crea l’evaporazione dell’acqua all’interno dell’acino, e concentrazione di zucchero e di pregiate caratteristiche gusto – olfattive (i cosiddetti vini muffati quali i Tokaj ed il Sauternes). Una particolare tecnica è quella utilizzata per produrre gli “Ice Wine”. Il grappolo viene raccolto quando il clima è rigido e gli acini sono sottoposti a congelamento. Immediatamente avviene la vinificazione, avendo l’accortezza di eliminare l’acqua ghiacciata, ed ottenendo così una concentrazione zuccherina naturale. L’altra tecnica per ottenere vini passiti, quella artificiale, prevede l’appassimento forzato delle uve che, dopo la raccolta fatta leggermente in anticipo sulla normale maturazione, vengono poste al sole o in locali ben ventilati, e messe ad appassire su graticci, stuoie, appese a corde o fili di ferro. Esempi di vini prodotti con i citati metodi sono il Greco di Bianco, il Vin Santo toscano, il Passito di Pantelleria ed il Vino Santo del Trentino, solo per citarne alcuni. Ad alcuni vini passiti può essere aggiunto alcol etilico o mosto concentrato o, ancora, possono subire una concentrazione a freddo, ma in questi casi rientrano nei cosiddetti vini liquorosi. I passiti o muffati, hanno un colore che varia a seconda della loro tipologia. Nei bianchi può andare dal giallo dorato all’ambrato, nei rossi dal rubino all’aranciato. All’analisi olfattiva, i vini rossi hanno profumi di frutti di bosco e di confettura, mentre nei bianchi, predomina il miele, l’albicocca, la frutta secca e quella esotica essiccata. Ma è al gusto che questa tipologia trova la massima esaltazione, dando intense sensazioni che confermano ciò che è stato percepito all’olfatto, ed hanno un forte contenuto zuccherino, equilibrato dalla notevole acidità che non permette al vino di essere pastoso. La lunga e piacevole consistenza che resta in bocca dopo la deglutizione, può arrivare a 20 secondi ed oltre.
Come è evidente quindi, i vini passiti o, come vengono spesso chiamati, “da meditazione”, sono un patrimonio culturale da salvaguardare e recuperare, migliorandone la qualità e favorendone la conoscenza sul mercato e l’integrazione con il turismo eno-gastronomico.
Ennio Baccianella