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L’Italia è ufficialmente tra i destinatari della comunicazione di costituzione in mora da parte della Commissione Ue per la mancata attuazione del bando Ue delle gabbie per l’allevamento in batteria convenzionale di galline ovaiole. E Su 50 milioni di esemplari ancora detenute nelle gabbie convenzionali in tutta Europa, quasi la metà, circa 20 milioni di galline, si trovano in Italia. Lo sottolinea la Lav, Lega antivivisezione, secondo cui si tratta di “una illegalità pagata sulla pelle di un grandissimo numero di animali”. Ora, a seguito del provvedimento adottato oggi dalla Commissione, gli Stati membri interessati dispongono di due mesi per rispondere alla lettera di costituzione in mora in forza dei procedimenti di infrazione dell’Ue. La mancata applicazione del divieto d’uso delle gabbie di batteria convenzionali dal primo gennaio 2012, secondo l’associazione animalista, “é grave sia perché la norma europea, la direttiva 1999/74/CE, è nota da ben 13 anni, sia perché a pagarne le conseguenze saranno i circa 20 milioni di animali in Italia, costretti ancora in spazi angusti dove non possono né aprire le ali, né appollaiarsi e tantomeno razzolare – afferma Roberto Bennati, vicepresidente della LAV – Ma questa diffusa illegalità rischia di pesare sulle tasche dei contribuenti italiani, che saranno chiamati a farsi carico economicamente della procedura di messa in mora”. Nei giorni scorsi la Lav aveva chiesto al Ministro delle Politiche Agricole e Forestali Mario Catania, che auspicava che “prima di arrivare davanti alla Corte di giustizia ci sia una ragionevole decantazione di tutto il problema”, quali azioni intendesse attuare per verificare come sono immesse in commercio oggi le uova provenienti da galline allevate in sistemi illegali. Oggi, lamenta la Lav, “i consumatori italiani che stanno comprando uova etichettate come legali, stanno acquistando con molta probabilità delle uova illegali, la cui commercializzazione dovrebbe essere immediatamente sospesa in base alle norme sulla commercializzazione delle uova stesse. Questo aspetto è prioritario per la tutela del consumatore e crediamo fermamente non si possa tollerare un inganno di tale portata per i consumatori”, conclude Roberto Bennati. (ANSA)