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Il presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo, Paolo De Castro, parteciperà al convegno inaugurale della 110ª edizione di Fieragricola, rassegna internazionale dedicata al settore primario, in programma dal 2 al 5 febbraio prossimi a Verona (www.fieragricola.it). Tema del convegno, al quale parteciperanno, fra gli altri, il ministro alle Politiche agricole, Mario Catania, e il direttore generale della Commissione europea all’Agricoltura, José Manuel Silva Rodriguez, sarà «Verso la nuova politica agricola comune: prospettive, sfide e opportunità per un’agricoltura sostenibile»
In vista dell’evento Veronafiere ha rivolto all’on. De Castro alcune domande, per capire innanzitutto come potrebbe essere la Politica agricola comune dopo il 2013.
Intervista che ci è stata inoltrata e che pubblichiamo integralmente.
La proposta di riforma della Pac, presentata dal Commissario Dacian Ciolos lo scorso 12 ottobre, ha suscitato molte perplessità, e non solo in Italia. Quali sono gli aspetti positivi della proposta di riforma per gli Stati membri? E quelli da ridiscutere e modificare?
«Gli agricoltori europei, come quelli del resto del mondo, hanno a che fare con un contesto inedito: ritornano anche nelle aree sviluppate le paure della food security e della scarsità. I mercati sono affetti da una volatilità destinata a divenire nel futuro un fenomeno sistematico, il nostro sistema di offerta alimentare verrà messo duramente alla prova nei prossimi anni. Rispetto a tale contesto, le oltre 600 pagine che compongono le proposte di regolamento presentate dall’esecutivo Ue lo scorso 12 ottobre, sembrano essere ancora lontane. Certamente, la proposta sulla nuova Politica agricola comune, può rappresentare una buona base di partenza ma, nei prossimi mesi, gli sforzi dovranno essere concentrati innanzitutto sulla necessità di promuovere la produzione in modo da aggiornare i contenuti della riforma alle mutate condizioni dello scenario».
Le attuali possibilità, da parte degli Stati membri, di gestire parte dei fondi comunitari su misura delle esigenze del proprio Paese, saranno modificate?
«Dovremo lavorare per rendere la politica agricola del futuro più semplice e più flessibile, così come all’introduzione di misure per affrontare gli stati di crisi che, purtroppo, hanno caratterizzato negativamente mercati e settori negli ultimi anni. In tale ambito, gli Stati membri potranno disporre di una parte di risorse da gestire autonomamente a seconda delle singole esigenze. Uno strumento contemplato nella proposta di riforma ma che dovrà essere reso più efficace nel proprio funzionamento e dotato di una dotazione finanziaria sufficiente a contrastare le sempre più ricorrenti emergenze».
Il prossimo mese di febbraio prenderà avvio il processo di ridefinizione del «Farm Bill» americano. La prossima Pac, in queste fasi di negoziato, terrà presente anche quanto avverrà negli Stati Uniti?
«Le sfide mondiali cui ho prima accennato, per essere affrontate necessitano di una riposta politica globale, al cui interno la Pac e il Farm Bill, che rappresentano le due più importanti politiche agricole nel mondo, dovrebbero coordinarsi. Ed è per queste ragioni che lo scorso anno, insieme ad una delegazione di colleghi onorevoli della commissione agricoltura che ho l’onore di presiedere, mi sono recato negli Stati Uniti dove abbiamo avviato un nuovo percorso tra Europa ed Usa. Un Joint meeting con i rappresentanti delle istituzioni agricole statunitensi da cui è emersa una comune veduta d’intenti sulle difficoltà derivanti dall’attuale contesto e, soprattutto, sulla necessità, fermo restando le differenze caratterizzanti dei due sistemi agroalimentari, di lavorare alla ricerca di soluzioni il più possibili comuni e coordinate.
Ma per la costruzione di una politica agricola del futuro che sia all’altezza delle nuove sfide globali, un ruolo centrale sarà inevitabilmente affidato alle nuove generazioni».
A proposito di nuove generazioni, nei giorni scorsi lo Usda ha comunicato che si prevedono 100mila nuovi giovani agricoltori (tra i 20 e i 30 anni) di qui a pochi anni. Quali sono le previsioni per l’Unione europea?
«L’Europa, con soltanto l’8 per cento degli agricoltori europei al di sotto dei 35 anni di età e con quattro milioni e mezzo al di sopra dei 65 anni che cesseranno la loro attività entro il 2020, mostra un certo ritardo rispetto al trend statunitense. Ciò che occorre è un rinnovato protagonismo all’interno del sistema agricolo europeo, anche al fine di modificare un’immagine obsoleta della nostra agricoltura. Continuare a credere nei giovani agricoltori, significa continuare a credere nel futuro dell’agricoltura europea».
La proposta di riforma della Pac cerca di sostenere i giovani agricoltori. L’Italia, prevedendo la priorità di assegnazione di parte delle terre demaniali ai giovani è allineata. Secondo lei, come dovrà essere declinata una legge di questa portata (dalla quale il Governo si attende un’entrata importante) per risultare efficace, equa e trasparente?
«Quella della priorità di assegnazione di parte delle terre demaniali ai giovani, può rappresentare un’importante iniziativa per il rilancio delle nuove generazioni in agricoltura. Ma al di là delle pregevoli iniziative nazionali, credo che sia opportuno in questa fase concentrarsi anche su quanto sta avvenendo in Europa dove, grazie all’impegno del Parlamento, é maturata una nuova consapevolezza sull’importanza del ricambio generazionale e dell’imprenditoria giovanile agricola. Elementi, questi, che hanno assunto una rilevanza considerevole all’interno del negoziato sul futuro della politica agricola comune, come dimostrano i contenuti della relazione Pac 2020 approvata lo scorso luglio dall’Aula di Strasburgo. È stato proprio sulla spinta del Parlamento europeo, che la Commissione ha inserito nella sua proposta di riforma un pagamento addizionale che gli Stati Membri possono accordare agli imprenditori agricoli al di sotto dei 40 anni di età, che abbiano avviato la loro attività da meno di 5 e che siano in possesso di adeguati requisiti professionali.
Un primo passo, ma che dovrà essere modificato per rafforzare la sua efficacia e per essere all’altezza dell’obiettivo che dobbiamo raggiungere a breve termine: trasformare in opportunità uno dei principali elementi di forza per il futuro dell’agricoltura europea e dei territori rurali».
Prima dell’approvazione del cosiddetto «Pacchetto latte», la sua posizione, Presidente, è stata netta (la ricordiamo: “senza l’adozione delle riforme che riguardano la gestione dei volumi produttivi e le norme di tutela della qualità, in Parlamento non approveremo nessun pacchetto che ci venga proposto”). Il risultato ottenuto, anche grazie al suo lavoro, è estremamente favorevole per l’Italia, a patto che i consorzi di tutela sappiano leggere i mercati e pianificare in maniera concreta la produzione. Lei presentò alcuni anni fa un progetto di regolamentazione produttiva del Grana padano, che pose le basi di un rilancio. Quali consigli darebbe ai consorzi, in base agli scenari futuri nel mondo del latte (compresa, dal 2015, l’abolizione del regime delle quote)?
«Con le nuove regole introdotte dal “Pacchetto latte”, finalmente i Consorzi di tutela avranno a disposizione un importantissimo strumento per programmare la loro offerta produttiva. Uno strumento che assume un significato particolarmente strategico in una fase di forte e prolungata volatilità dei mercati e che è il risultato del lavoro del Parlamento europeo e dei nuovi poteri legislativi ad esso attribuitegli dal Trattato di Lisbona. Sono convinto, che i Consorzi di tutela italiani, così come tutti gli operatori del settore lattiero che dal 2015 vedrà cessare il regime delle quote produttive, sapranno sfruttare le enormi opportunità del nuovo regolamento comunitario».
Agricoltura e competitività. Ritiene che gli Stati dell’Unione europea debbano arrivare ad avere un regime fiscale e tributario comune (o il più possibile comune), per poter competere su livelli simili di costi di produzione?
«In questa delicatissima fase, l’Europa deve fare tutti gli sforzi necessari per costruire un percorso comune e condiviso che possa mettere in sicurezza i mercati. Ciò passa inevitabilmente attraverso il rafforzamento delle politiche economiche europee. Un aspetto fondamentale per il settore agricolo e per la sua competitività. Una caratteristica dell’era della scarsità di cibo, infatti, è che l’aumento dei prezzi non premia gli agricoltori, che devono invece affrontare costi di produzione più alti. Gli introiti possono anche aumentare, ma sono assorbiti in larga parte dalla necessità di coprire i costi degli input. Un’incertezza correlata alla volatilità dei mercati che, se non affrontata con strumenti adeguati, rischia di incidere negativamente anche sulle altre componenti della filiera».
Mercati e prezzi. Alcuni giorni fa il nuovo direttore generale della Fao ha previsto una flessione dei listini per molte produzioni. Quali sono le previsioni dell’Unione europea per il 2012?
«Tale flessione annunciata dalla Fao verrà probabilmente confermata, seppur con le dovute differenze nell’ambito delle diverse tipologie produttive, dal mercato europeo. Ma al di la di ciò, come già accennato, quella che viviamo è un epoca di estrema volatilità dei mercati. Una caratteristica che è destinata a caratterizzare tutte le principali produzioni agricole nei prossimi anni e con la quale dovremo inevitabilmente saperci confrontare per rafforzare la competitività del sistema primario europeo. Ecco perché, non mi stancherò mai di dirlo, la prossima riforma della Pac rappresenta per tutti una grande opportunità che dovremo saper cogliere. Il negoziato non sarà facile ma, sono convinto, alla fine costruiremo una riforma ambiziosa che saprà proiettare l’agricoltura oltre le difficoltà che caratterizzano l’incerto contesto di riferimento».
Durante la precedente edizione di Fieragricola, nel 2010, e anche successivamente, affermò che sono mature le condizioni per una legislazione europea del contoterzismo. Preso atto che la quasi totalità delle operazioni di raccolta è affidata alle imprese di meccanizzazione agricola, dove dovrebbero essere collocati gli imprenditori agro meccanici: in agricoltura, nel comparto artigiano, in quello industriale? Inoltre, dal momento che i contoterzisti innegabilmente operano in agricoltura, è possibile consentire loro accessi alle misure dei Piani di sviluppo rurale, magari limitatamente a misure specifiche su meccanizzazione e innovazione?
«Nel momento in cui sono la principale fonte di innovazione tecnologica dell’agricoltura europea, le imprese di meccanizzazione rappresentano un anello fondamentale della filiera. Ciò nonostante, come ho già accennato in più di un’occasione, l’eccessiva frammentazione e diversificazione del contoterzismo, impone la ricerca di un quadro di riferimento giuridico a livello comunitario. I contoterzisti sono una delle principali categorie imprenditoriale in grado di garantire la competitività del settore primario sui mercati e gli sforzi a livello istituzionale dovranno essere concentrati sulla tutela e valorizzazione del settore. Un’opportunità, in tal senso, sarà rappresentata dal nuovo quadro di regole sullo sviluppo rurale nell’ambito della Pac post-2013».
Tenuto conto che né l’euro né il passato storico uniscono i singoli Stati europei, l’agricoltura può essere considerata un collante per l’Ue? In che misura?
«L’agricoltura può fornire un contributo importante alla “cementificazione” dell’Unione europea. Del resto, la Pac ha rappresentato e continua a rappresentare la più importante politica economica attuata dall’Ue nei suoi cinquant’anni di storia, uno degli elementi più significativi del processo di unificazione, il fattore aggregante di maggior rilievo dell’Europa. Una politica che oggi, in un’epoca in cui si discute di sicurezza alimentare, acquista un’importanza ancora maggiore. Le decisioni europee sulla qualità del cibo e del paesaggio, sull’ambiente e il modello di sviluppo, devono infatti tenere tutte conto della nuova Pac».